Ogni nuova condotta o forma di comunicazione, nel momento stesso in cui sorge e si impone, definisce, al tempo stesso, i confini di ciò che è lecito o illecito fare, lecito o illecito dire. In altre parole, traccia i confini oltre i quali si genera una nuova forma di devianza.
Questa “legge” è esemplificabile in centinaia di modi. Pensiamo solo che, con la nascita di Internet e della posta elettronica, è nato anche il cybercrime. Ancora prima, la diffusione dell’automobile ha “introdotto” l’omicidio stradale. Tasse e imposte hanno il loro corrispettivo deviante nell’evasione fiscale. L’introduzione della scuola obbligatoria ha generato l’abbandono scolastico e così via.
In epoca di pandemia, la diffusione massiccia di forme di comunicazione mediata da piattaforme quali Zoom, WeSchool, Google Meet, Jitsi Meet, Microsoft Teams ecc. non ha tardato a generare la sua specifica forma di devianza, per la quale è stato coniato anche un neologismo: zoombombing.
Zoombombing indica la pratica di infiltrarsi in una videoconferenza o in un incontro online postando contenuti offensivi, violenti, razzisti o pornografici. Negli Stati Uniti, episodi di zoombombing sono accaduti nel corso di incontri religiosi tra musulmani o tra ebrei e in occasione di conferenze di attiviste del mondo LBGT con tale frequenza che i zoombombers sono stati arrestati in alcuni casi. L’8 aprile 2020, un adolescente di Madison, Connecticut, è stato incriminato con l’accusa di reato informatico per aver disturbato alcune lezioni della Daniel Hand High School. A San Francisco, la diffusione di contenuti pornografici durante una videoconferenza su Zoom ha condotto all’arresto di un uomo. In Gran Bretagna, sono stati segnalati circa 120 casi del genere (a maggio 2020).
In Italia, incursioni vietate si sono avute in ambiente lavorativo e scolastico. Soprattutto, durante la famigerata DAD, episodi di “condotta impropria” da parte degli studenti sono stati più volte segnalati. Videoconferenze di lavoro sono state interrotte da “pirati informatici” con conseguenze varie.
Ho sentito più volte genitori, insegnanti e datori di lavoro manifestare sorpresa, se non scandalo, per questi comportamenti. La sociologia ci insegna che sono praticamente inevitabili e che bisognerebbe tentare di porvi rimedio tentando di comprenderne i motivi, non meravigliarsi. In alcuni casi, però, sia in ambiente scolastico sia in ambiente lavorativo, mi sembra di poter dire che alcune condotte devianti scaturiscano dalla scarsa familiarità con piattaforme con cui ci siamo tutti trovati improvvisamente a fare i conti, senza conoscerne le modalità di accesso né il funzionamento. È il caso dell’uomo sorpreso a fare una doccia durante una videoconferenza con il presidente brasiliano Bolsonaro o del giornalista del «New Yorker» sorpreso a masturbarsi durante un collegamento online.
In altri casi – e penso allo zoombombing scolastico – il gesto deviante potrebbe essere la spia di un disagio, di un malessere, di una difficoltà comunicativa, una forma di resistenza all’alienazione indotta dalla DAD, un modo per contrastare un ordine sociale impostoci dall’alto e che nessuno di noi ha voluto. Qualcosa di più insomma che l’ennesima “birichinata di chi non vuole studiare”.