Chi sia stato per primo a dirla non si sa. La frase è stata attribuita, di volta in volta, a Edmund Rich, Gandhi, Moana Pozzi, Julius Evola, Giorgio Almirante e tanti altri ancora. L’oblio delle origini e l’attribuzione alle più svariate celebrità hanno probabilmente contribuito alla sua fama, ma ancora di più il fatto che, come ogni buon aforisma che si rispetti, sembra racchiudere (ingannevolmente) una enorme quantità di saggezza in poche parole.
“Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre”. Quante volte l’abbiamo sentita! Soprattutto il primo emistichio, che sembra prediletto da cantanti, musicisti, artisti e altri esponenti del “vivi breve, vivi intenso” (che magari di imparare e studiare non hanno poi tanta voglia).
Ma è davvero possibile vivere come se non ci fosse un domani o come se avessimo appena un solo giorno da vivere? Di solito, la frase è citata per dire che dovremmo vivere ogni nostro giorno intensamente, non sprecare il nostro tempo perché la vita è breve, non procrastinare perché del “doman non c’è certezza”, cogliere l’attimo, consegnarsi all’imperativo del “carpe diem”. Ad esaminarla criticamente, tuttavia, la frase si rivela un banale luogo comune che si fa forte della continua ripetizione a cui è soggetto e della concisione dei termini adoperati per esprimerlo, ma che non ha alcun fondamento concreto. Immaginate di sapere che non vivrete più di due giorni (per una grave malattia, per la profezia infallibile di una sensitiva infallibile o per un altro motivo qualsiasi), che la vostra vita è arrivata al capolinea, finita, kaputt. Riuscireste davvero a vivere intensamente l’unico giorno che vi è rimasto? A godere di quel viaggio in Nuova Zelanda pianificato con tanto entusiasmo, a porre la parola “fine” al libro della vostra vita che scrivete da anni, a dedicarvi all’ultimo mattone di quell’amore di casa a cui vi consacrate da anni? Credo di no! L’angoscia che vi attanaglierebbe vi condannerebbe a una inerzia psicomotoria, a una attesa del nulla che spazzerebbe via ogni residuo di vita, ogni velleità di agire. Immobilismo, depressione, negazione della realtà, rabbia, protesta e, di nuovo, angoscia caratterizzerebbero il vostro tempo minimale. Ed egocentrismo nichilistico, perché chi ha poco da vivere, di solito, non ha a cuore più nulla oltre la propria condizione e non ha interesse per niente, figuriamoci un viaggio, un libro, una casa.
Altro che vivere intensamente! Al contrario, per vivere all’insegna dell’energia dobbiamo sapere di avere più di un domani, che la vita (non la morte) ci sorride, che staremo bene e saremo felici. Non a caso gli dei omerici, tutti immortali, sono sempre descritti come lieti. Aspettative positive, credenze ottimistiche, condizione fisica brillante, desiderio di vivere a lungo sono la base di ogni esperienza di intensità. Non a caso viviamo “come se dovessimo morire domani” proprio quando siamo più giovani, quando abbiamo più tempo davanti a noi, quando siamo spensierati, quando sappiamo che quello che stiamo per fare potremo farlo ancora e ancora in un orizzonte temporale relativamente, per quanto illusoriamente, illimitato; quando, insomma, sappiamo che non moriremo domani. Al contrario, chi ha poco da vivere non sente spesso alcuna energia e voglia di fare e si consuma tutto autocentrato nell’attesa dell’inevitabile.
Non vivete come se doveste morire domani. Vivete come se doveste vivere per sempre pieni di energia. E lasciate stare cantanti, musicisti, artisti e altri esponenti del “vivi breve, vivi intenso”, che, non a caso, sono tutti giovani quando ripetono questa frase come uno slogan cool che, però, è cool solo perché la dicono nel periodo migliore della loro vita.