“Ci sono 100.000 fumatori di marijuana in totale negli Stati Uniti, e la maggior parte sono negri, ispanici, filippini e uomini di spettacolo. La loro musica satanica, il jazz e lo swing, è una conseguenza del consumo di marijuana. La marijuana induce le donne bianche ad avere rapporti sessuali con negri, uomini di spettacolo e tanti altri”.
Testimonianza resa da Harry J. Anslinger, di fronte al Congresso degli Stati Uniti nel 1937
Nel 1937, gli Stati Uniti, in seguito a una intensa campagna di stampa centrata sull’assunto che i consumatori di marijuana non sono in grado di tenere a freno il proprio comportamento, approvano il Marihuana Tax Act che inserisce questa droga, allora associata soprattutto ai musicisti jazz, ai lavoratori messicani, ai negri e ai filippini, nell’elenco delle sostanze proibite. Protagonista di questa campagna è l’“imprenditore morale” Harry Jacob Anslinger (1892-1975), un funzionario governativo in forze presso il Federal Bureau of Narcotics, che dominò la scena proibizionistica americana dal 23 settembre 1930 al 5 luglio 1962, epoca della breve presidenza di John F. Kennedy. Anslinger, costruendo storie in cui crimini orrendi vengono eseguiti sotto l’influenza della marijuana, falsificando o creando dati ex novo, intimidendo i Medical Boards dell’epoca (i soli in grado di contraddirlo), inventando la “teoria del passaggio”, secondo cui l’assunzione di marijuana conduce ineluttabilmente all’assunzione di cocaina ed eroina, contribuisce ad affermare presso l’opinione pubblica uno dei “mostri morali” più duraturi del XX secolo: lo stereotipo del consumatore di marijuana, persona fisicamente aggressiva, priva di controllo, sconsiderata, mentalmente inferma, votata alla criminalità e pericolosa per sé e per gli altri. Le conseguenze di questa “impresa morale” sono devastanti: essa non solo introduce una nuova fattispecie criminale nel codice penale statunitense, con un pesantissimo strascico in termini di arresti, condanne e criminalizzazione di produttori, distributori e consumatori della sostanza, ma costruisce una vischiosissima ideologia manichea che, ancora oggi, condiziona fortissimamente la percezione sociale della cannabis, ostacolando, ad esempio, il suo uso a scopi terapeutici.
Perno fondamentale della campagna terroristica di Anslinger è, come detto, l’invenzione di storie truculente, spacciate per vere, in cui inevitabilmente qualcuno, sotto l’effetto della droga, finisce con il commettere terribili omicidi o altre azioni cruente. Ad Anslinger è attribuito il cosiddetto gore file (“dossier sanguinario”) che raccoglie circa 200 storie di questo tipo. La più famosa – destinata a diventare addirittura “leggendaria” – è quella di Victor Licata, ripetutamente citata da Anslinger in numerosi articoli a dimostrazione degli effetti nefasti della marijuana, in particolare in un articolo del 1937 intitolato “Marijuana. Assassin of Youth”.
I fatti. A Tampa, in Florida, il 17 ottobre 1933, un giovane di ventuno anni, Victor Licata, che si trova a casa sua, uccide con una scure entrambi i genitori, i due fratelli e la sorella. Quando arriva, la polizia trova sul luogo della strage il giovane Licata in stato di semi-incoscienza.
La versione di Anslinger. Victor Licata è un ragazzo normale e tranquillo come tanti, che, un giorno, scopre i piaceri della marijuana, ne abusa per circa sei mesi e impazzisce diventando un pericolosissimo assassino.
La storia, ripetuta molteplici volte, viene creduta vera dal grosso pubblico e diviene il pezzo forte della campagna antimarihuana di Anslinger, contribuendo al suo successo. Ma le cose non stanno come le riferisce il funzionario americano.
Alcuni documenti custoditi presso il Florida State Mental Hospital, dove il giovane sarà rinchiuso dal 1933 al 1950, raccontano una storia profondamente diversa. Licata non è affatto una persona tranquilla e normale: appena un anno prima del massacro, la polizia ha tentato di farlo rinchiudere in manicomio desistendo solo per l’opposizione dei genitori, che promettono di prendersi cura di lui. La diagnosi dello psichiatra afferma che Licata soffre di una malattia mentale «cronica e acuta», è soggetto ad «allucinazioni accompagnate da impulsi omicidi» e ha tendenze psicotiche. I medici sospettano un disturbo ereditario: i genitori, infatti, sono cugini di primo grado, il prozio e due cugini del padre sono stati rinchiusi in manicomio, il fratello è affetto da dementia praecox. Rinchiuso in manicomio dopo la strage, Licata uccide un altro paziente e si toglie la vita, impiccandosi. Soprattutto, i referti psichiatrici non attribuiscono alla marijuana alcun effetto causale sugli omicidi. Licata non fumava marijuana da sei mesi e, se pure l’aveva provata, essa non aveva avuto alcun impatto sulle sue tendenze omicide (qui e qui per altre informazioni sulla vicenda).
Anslinger è a conoscenza di questi fatti, ma li distorce per sostenere la sua campagna contro la cannabis. La tesi secondo cui la marijuana trasforma i bravi ragazzi in pazzi assassini si diffonde nell’opinione pubblica e alimenta la reefer madness, una isteria di massa contro la marijuana le cui conseguenze, seppure attenuate dal tempo e dagli eventi, si fanno sentire ancora oggi. Pensiamo a espressioni come “venditori” o “mercanti di morte”, ancora oggi adoperate dalla retorica proibizionista per descrivere spacciatori e trafficanti di droga. Nasce, così, uno dei più nefasti miti legati alla droga: il mito della droga che uccide, che porterà a stigmatizzare la cannabis in modo quasi irreversibile.
L’attività di Harry Jacob Anslinger è esemplificativa del modus operandi degli imprenditori morali. È possibile trarne addirittura una ricetta per aspiranti imprenditori morali: si prenda una tesi precostituita relativa a un determinato fenomeno (“La cannabis fa male”); si producano dati inattendibili, ma fatti passare per scientifici, a suo sostegno (“Le statistiche dimostrano che…”); si costruiscano storie false a dimostrazione della tesi, possibilmente stipate di particolari scabrosi (Victor Licata docet); si inventino teorie che dimostrano la nocività del fenomeno (“La cannabis conduce all’eroina e alla cocaina”); si intimidiscano e criminalizzino tutte le voci contrarie alla tesi abbracciata (“I medici sono incompetenti e prevenuti e cospirano contro la nazione”); si organizzi una campagna di stampa terroristica fondata su questi dati, storie e teorie; si disseminino opinioni e convinzioni negative mai provate su quel fenomeno.
Il risultato? La tesi sostenuta si rivelerà vera. Come dimostra la biografia di uno dei più grandi imprenditori morali del XX secolo: Harry Jacob Anslinger.