Ci sono uomini e donne che se non avessero formulato “quella” teoria, “quel” pensiero, “quella” “legge” non sarebbero probabilmente ricordati o sarebbero dimenticati del tutto.
È il caso dell’antropologo inglese Joseph Daniel Unwin (1895–1936) ricordato oggi per la sua ricerca Sex and Culture (Oxford University Press, London, 1934), definita da Aldous Huxley “un’opera di capitale importanza”, e in particolare per quella che potremmo definire la “legge di Unwin”.
Prendendo in esame ottanta società non civilizzate e sei grandi civiltà (babilonesi, sumeri, ateniesi, romani, anglosassoni e angli), Unwin giunse alla conclusione che “più alte sono le restrizioni sessuali più alto è il livello di civiltà, più basse sono le restrizioni sessuali più basso è il livello di civiltà”.
Secondo Unwin, «a questa regola non esistono eccezioni. Le civiltà salgono sul palcoscenico della storia quando la loro sfera sessuale viene regolata da norme molto severe e spariscono dalla scena quando lasciano scivolare la loro sessualità al livello animale delle pulsioni incontrollate […] Negli annali della storia non esistono esempi di civiltà che in un determinato lasso di tempo avessero una energia sociale elevata, a meno che non fossero assolutamente monogame» (J. D. Unwin, Sex and Culture, p. 369).
Sintetizzando la posizione di Unwin, il sociologo Pitirim Sorokin scrive:
Elaborando quattro grandi modelli di cultura umana, Unwin è giunto a conclusioni che considera inoppugnabili: la libertà sessuale prenuziale ed extranuziale decresce con la transizione dalle culture zoistiche a quelle razionalistiche. Fra i popoli delle culture zoistiche vi era una elevatissima libertà; in quelle manistiche appaiono alcune forme di limitazione delle relazioni pre- ed extra-maritali; nei popoli cosiddetti deistici subentra una ancor più grande limitazione e più stretta regolazione, infine, castità prematrimoniale e monogamia post-nuziale vengono richieste e rinforzate nelle società di tipo razionalistico, ad esempio in Egitto, presso i Sumeri, i babilonesi, i Greci. La limitazione della libertà sessuale appare accompagnata da creatività culturale. Fra le 59 società pre-letterarie, emerge il seguente risultato comparativo: le società civilizzate che hanno una più stretta e rigida libertà sessuale sono ancora quelle in cui si sviluppano le forme di cultura più elevata (Pitirim A. Sorokin, 2021, La rivoluzione sessuale americana, Cantagalli, Siena, pp. 62-63).
Quanta credibilità ha oggi la “legge di Unwin”? È vero che a questa “legge” non esistono eccezioni? Prendiamo in esame la civiltà contemporanea occidentale. Nella nostra società, come è noto, vige una libertà sessuale senza precedenti. Comportamenti sessuali una volta rigidamente stigmatizzati e censurati sono oggi consentiti senza che ciò desti reazioni o preoccupazioni (se non da parte di ristretti gruppi ideologicamente orientati). Il sesso prematrimoniale o extramatrimoniale non suscita più scandalo e il novero delle pratiche sessuali “liberalizzate” è notevolmente cresciuto. Una donna non è più considerata “perduta” se ha rapporti sessuali con più uomini. Erotismo e pornografia abbondano sia nelle produzioni culturali sia nel nostro immaginario. Insomma, viviamo in un’epoca di “basse restrizioni sessuali”, per dirla con Unwin, a cui però non corrisponde affatto un “basso livello di civiltà”.
Nessuna epoca come la nostra, infatti, ha prodotto tanta “cultura” (nel senso più ampio del termine). In nessuna società si è pubblicato, scritto, realizzata arte, musica ecc. come la nostra. Nessuna epoca precedente vanta il nostro livello di alfabetizzazione, progresso scientifico, qualità della vita ecc. Eppure, tutto ciò è perfettamente compatibile con un atteggiamento estremamente libero e rilassato nei confronti della sessualità. La “legge di Unwin” non regge, dunque, alla prova dei fatti.
Credo, inoltre, che sia semplicistico porre a confronto i costumi sessuali di società preletterate – considerati sempre come poco restrittivi – con quelli delle “grandi civiltà”, considerati sempre restrittivi. Siamo sicuri che le condotte sessuali di greci e romani antichi fossero così ristrette rispetto a quelle di comunità “primitive”? Il nostro giudizio nei confronti di quest’ultime non deriva spesso da un pregiudizio etnocentrico su cosa debba intendersi per “civiltà” e “costumi sessuali restrittivi”? Infine, è possibile che Unwin abbia “selezionato” abilmente i dati che confortavano la sua tesi, trascurando quelli che la smentivano, come è accaduto a pensatori più celebri di lui (uno su tutti: Hegel)?
Insomma, le “leggi” che pretendono di individuare costanti storiche assolute e “senza eccezioni” celano tanti e tali problemi di tenuta da essere quasi sempre destinate al fallimento. Mi sembra che ciò sia particolarmente vero nel caso dell’antropologo inglese Joseph Daniel Unwin e della sua “regola che non conosce eccezioni”.
Chiamare cultura quella che viene prodotta oggi è un insulto. Oggi si produce molto intrattenimento, ma chiamarlo cultura mi sembra eccessivo. Noi rientriamo perfettamente nella legge di Unwin. Una animalizzazione dei rapporti sessuali ci ha resi più animali anche culturalmente. Per non parlare dell’altro aspetto che Unwin evidenzia: le società libertine sono le prime a collassare. Riparliamone fra una cinquantina d’anni quando , a causa dei tassi di natalità nulli, saremo diventati una colonia islamica