Sull’ageismo, il pregiudizio di un gruppo di età nei confronti di altri gruppi di età, in particolare di quelli più vecchi, ho già scritto in altri post, traducendo anche un piccolo classico poco noto come “Age-ism: Another Form of Bigotry” di Robert Neil Butler (1927–2010).
In un articolo ho fatto notare come esistano varie forme, spesso nemmeno consapevoli, di ageismo. Una delle più misconosciute, sebbene diffusissime, è quella secondo cui chi è vecchio è relegato al ruolo di accuditore (babysitter) dei nipoti. Si tratta del cosiddetto “welfare dei nonni” sul quale, stando a numerosi studi, sembra reggersi la struttura stessa della nostra società.
Qui non vorrei soffermarmi sulle conseguenze economiche di questa funzione, ma sul fatto che il ruolo di babysitter dei nipoti è talmente interiorizzato in ogni strato sociale che un vecchio (o vecchia) che “osi” non conformarsi a esso viene considerato quasi un mostro, un deviante o almeno una persona senza cuore.
Eppure, a ben vedere, perché dovrebbe essere così? Perché un vecchio non può decidere di trascorrere il proprio tempo in altro modo? Perché la società ritaglia per gli anziani ruoli precostituiti, negando nei fatti la possibilità di una vita attiva che non sia quella imposta da questi ruoli? Perché, ad esempio, ogni attività lavorativa, anche se impegnativa, realizzata dopo il raggiungimento dell’età pensionistica viene considerata con sufficienza, come un hobby o, al più, come un modo di trascorrere il tempo in attesa della morte? Sappiamo che nella nostra società a capitalismo avanzato, solo il lavoro che produce reddito, salario, retribuzione è considerato vero lavoro. Tutto il resto, per quanto faticoso, è ridotto a passatempo, trastullo, futile occupazione. Questo, però, finisce con il ridurre l’agire dei vecchi a caricatura del “vero” lavoro, a macchietta rugosa della “vera” fatica, a senile surrogato della “vera” vita.
L’attività di accudimento, invece, viene data per scontata, come se fosse parte integrante dell’essenza della terza età. Pochi hanno il coraggio di non cedere al ruolo di babysitter familiare. Pochi si rendono conto che anche questa è una sottile, inavvertita, insidiosa forma di ageismo.
L’ageismo è forse la forma più ignorata di pregiudizio. È più subdolo del razzismo e del maschilismo. Più strisciante, meno problematizzato, meno tematizzato. Se ne parla pochissimo. Suscita scarso dibattito pubblico. Nel post citato, ho elencato varie forme misconosciute di ageismo. Chi ne farà un elenco esaustivo?