Nel mio libro Turpia, notavo come talvolta il turpiloquio serva una funzione apotropaica, venga cioè usato, come un amuleto, per tenere lontano il male. Citavo espressioni quotidiane come “In culo alla balena!” o “Che culo che hai!”, ma anche esempi letterari come i Fioretti di San Francesco, nei quali il diavolo è allontanato rivolgendogli la frase: “Apri la bocca; mo’ vi ti caco”, o il naturalista latino Plinio che consigliava di accompagnare la semina del basilico con ingiurie e maledizioni per avere un raccolto abbondante. Ho trovato riflessioni simili in un paragrafo dei monumentali Costumi di gruppo del sociologo William Graham Sumner, intitolato “Gli insulti e le ingiurie per la fortuna e contro il malocchio”. Eccolo qui:
Tra gli Slavi meridionali il malocchio agisce suscitando l’azione degli spiriti maligni, e la persona o cosa affetta viene «insultata»; indubbiamente questo modo di operazione va sottinteso anche quando non è menzionato. I belli soffrono di più. È possibile fare del male attraverso la propria ammirazione, senza rendersene conto. Non si dovrebbe mai dire «che bel bambino!», ma si dovrebbe dire «che brutto bambino!», per esprimere la propria ammirazione. Questa consuetudine ha provocato un’inversione nel linguaggio. Tale superstizione è diffusa in Ungheria. Non bisogna mai lodare o ammirare un bambino; se capita di guardare un bambino per un attimo con ammirazione, bisogna quindi sputargli addosso tre volte. È possibile che il costume di gettare una vecchia scarpa dietro alla sposa sia riconducibile alla stessa superstizione: si tratta di un dono spregiativo e derisorio per la fortuna, analogo alle grida di insulto.
L’insulto, il turpiloquio o anche la bestemmia sono a volte utilizzati dunque per tenere lontano il male dalla nostra vita. In alcune personalità, ciò è tanto vero che risulta addirittura impossibile evitare di bestemmiare. Prendiamo il caso di Lutero, come descritto nella biografia dello psicanalista Erikson:
Perché io sono incapace di pregare senza in pari tempo imprecare. Se sono spinto a dire ‘benedetto il tuo nome’, devo aggiungere ‘maledetto, dannato, oltraggiato sia il nome dei papisti’; se sono spinto a dire ‘venga il tuo regno’, debbo forzatamente aggiungere ‘maledetto, dannato distrutto sia il papato’. Invero io prego in questo modo con la bocca e col cuore ogni giorno senza intermissione (Erikson, E.H., 1967, Il giovane Lutero, Armando, Roma, pp. 247-248).
Quello di Lutero, certo, è un caso estremo, ma chissà quanti ne conosciamo nella vita quotidiana che proprio non sanno fare a meno di bestemmiare. Forse anche il nostro vicino di casa.