Il Qoelet o Ecclesiaste, tra i libri della Bibbia, è sicuramente uno dei più complessi. Attribuito a un autore ignoto che dice di essere il Re Salomone, pervaso da uno spirito tetro e pessimistico come pochi, è ricco di riflessioni sulla vita e la morte e, a detta di molti, presenta non pochi punti di difficile comprensione; talmente difficile che perfino un traduttore esperto come San Gerolamo, autore della cosiddetta Vulgata, la prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia dall’ebraico, vi inciampò in modo grossolano.
L’errore forse più noto riguarda Ecclesiaste 1, 15. Se si prende una traduzione contemporanea di questo verso si leggerà: «Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare» (Bibbia CEI). Come commenta il teologo Luca Mazzinghi:
Il primo proverbio viene forse dall’ambiente agricolo; ce ne sono di analoghi in Egitto, dove si legge che un legno storto non può essere raddrizzato neppure dal più abile artigiano. L’altro proverbio è proprio dell’ambito commerciale: «Quel che manca non lo puoi contare»; un contabile non può fare i conti con cose che non esistono. Cosa vogliono dire questi due proverbi? L’uomo è impotente di fronte ad una realtà che lo sovrasta, non può raddrizzare ciò che è storto e contare ciò che manca, ovvero l’essere umano è limitato.
Se questa interpretazione sembra reggere, non si capisce perché San Girolamo tradusse la seconda parte del verso nel seguente modo: «Stultorum infinitus est numerus», cioè «Infinito è il numero degli stolti». La sua traduzione, infatti, sembra essere del tutto difforme dall’originale ebraico. Come spiegare questo errore? Ancora Mazzinghi:
[…] forse perché il termine biblico tradotto con ciò che manca (hesròn) viene letto come hasar leb, qualcuno che manca di cervello; forse Girolamo aveva un altro manoscritto o forse cambia il testo perché gli pareva troppo difficile. Fatto sta che il proverbio «ciò che manca non si può contare» diventa nella Vulgata: «stultorum infinitus est numerus», è infinito il numero degli stolti.
Quale che sia la causa dell’errore, Mazzinghi ci invita a prenderla con filosofia e ci ricorda il commento di un tale padre Vaccari che può servirci da consolazione:
«Etsi opinari non vetamur… quod stultorum infinitus est numerus». Gli stolti sono sempre più di quanto tu pensi e più pericolosi di quanto tu creda; ben peggiori dei cattivi, come scrive D. Bonhoeffer. Dai malvagi infatti ci si difende, dagli stupidi no; sono proprio quelli che fanno i veri danni nel mondo, perché il malvagio sa d’essere un malvagio ma lo stupido non sa d’essere stupido.
E, potremmo aggiungere con Einstein, «Due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, ma sull’universo ho ancora dei dubbi».