Secondo me, bisognerebbe leggere con grande attenzione l’articolo di Richard Eibach, Lisa Libby e Thomas Gilovich “When Change in the Self Is Mistaken for Change in the World” (2003), esempio di come la psicologia sociale e cognitiva possa aiutarci a fare chiarezza su alcuni aspetti “misteriosi” della nostra psiche. Il “mistero” che questo articolo ci aiuta a svelare riguarda uno degli errori cognitivi che più frequentemente tendiamo a commettere nella nostra esistenza: scambiare i cambiamenti interni per cambiamenti esterni.
La tesi di Eibach, Libby e Gilovich è che le persone, di solito, non sono consapevoli dei cambiamenti che avvengono dentro di sé e tendono a pensare che tali cambiamenti si siano verificati nel mondo esterno. Ciò porta a una sopravvalutazione di questi ultimi. In sostanza, in virtù di questo errore cognitivo, abbiamo l’impressione che il mondo muti molto più di quanto non muti davvero, quando, in realtà, siamo noi a cambiare.
Una spiegazione di ciò deriva dal fatto che siamo “realisti ingenui”, ossia crediamo di vedere il mondo così com’è, senza filtri o interpretazioni da parte della nostra mente. Percepiamo, dunque, le differenze che riscontriamo come differenze riguardanti il mondo così come esso è. A meno che qualcosa non ci faccia prendere consapevolezza che il cambiamento è dentro di noi, questo è attribuito al mondo esterno.
In altre circostanze, tuttavia, ci rendiamo conto che i cambiamenti avvengono dentro di noi. Ad esempio, se ci capita di incontrare una persona che non vedevamo da quando eravamo bambini e questa ci appare più bassa, sappiamo che ciò dipende dal fatto che eravamo abituati a vederla dal basso in alto. Allo stesso modo, se ci capita di leggere un libro che ci ha colpiti da adolescenti e lo troviamo scialbo, sappiamo che ciò dipende dal fatto che siamo “maturati”.
Le attribuzioni di stati interni a stati esterni possono riguardare tanto cambiamenti positivi quanto cambiamenti negativi. Ad esempio, cambiamenti positivi dell’umore possono gettare improvvisamente una nuove luce rosea sul mondo che ci appare come un posto migliore di quanto non fosse in precedenza. Tuttavia, le persone hanno spesso l’impressione che, da una generazione all’altra, le cose cambino per lo più in senso negativo. Pensiamo alle geremiadi sui “bei tempi che furono” che sono una costante delle persone mature e vecchie.
Eibach, Libby e Gilovich sostengono che ciò avviene quando attraversiamo dei cambiamenti interiori, non li riconosciamo in quanto tali, di conseguenza interpretiamo il mondo in maniera diversa e concludiamo che sia stato il mondo a cambiare.
Un esempio, è dato da quello che accade quando sperimentiamo un cambiamento nella nostra situazione finanziaria. Più questa migliora, maggiori opportunità abbiamo di soddisfare i nostri desideri e maggiore è la nostra sensazione di libertà. Al contrario, più la nostra situazione finanziaria peggiora, maggiore è la probabilità di sperimentare una riduzione della libertà personale. Se non si è consapevoli di questo meccanismo, è facile attribuire i cambiamenti da noi sperimentati a processi che accadono nel mondo e a giudicare questi in senso negativo (“il mondo sta andando a rotoli”) o positivo (“le condizioni sociali stanno migliorando dappertutto”).
Allo stesso modo, quando si è genitori, si diventa più sensibili e guardinghi nei confronti dei pericoli che potrebbero derivare alla nostra prole dall’ambiente circostante. Oggetti un tempo innocui, come i secchi, le prese di corrente, i detergenti per la casa sotto il lavello, i medicinali, gli spigoli del tavolo diventano improvvisamente fonti di costante preoccupazione. Gli sconosciuti ci sembrano tramare alle spalle dei nostri pargoli e le parolacce, che prima usavamo in abbondanza, diventano sorgenti di corruzione morale da cui proteggersi costantemente. Film, canzoni, conversazioni quotidiane assumono un altro aspetto. Il mondo diventa improvvisamente un luogo più pericoloso in cui vivere: il crimine ci sembra in aumento, la moralità in diminuzione, la media delle persone ci sembra più riprovevole. Così, è facile attribuire questa sensazione, derivante dall’acquisizione del nuovo status, a cambiamenti verificatisi nel mondo esterno (“le cose un tempo erano migliori”).
Ma perché percepiamo il mondo sempre più negativamente a mano a mano che accumuliamo anni?
Una delle ragioni ha a che vedere con l’invecchiamento fisico. Il progressivo decadimento delle nostre facoltà fisiche e mentali viene a essere proiettato sul mondo esterno a cui è attribuita la responsabilità di un inarrestabile declino. Il ricordo collettivo del passato è quello di un mondo un tempo pieno di vita e rigoglioso e oggi appassito, frustrante e senza speranza. Se non riconosciamo o non ammettiamo che il declino è quello del nostro corpo e della nostra mente, allora concludiamo che è il mondo esterno che sta cambiando in peggio con il noto corteo di lamentazioni sui bei tempi antichi in cui tutto era meraviglioso e tutto funzionava.
Invecchiando, le persone diventano anche più ciniche. La giovinezza è il tempo delle illusioni, dei sogni, delle speranze, delle scelte. Crescendo, si comprende come le persone non sono tutte buone, che il politico in cui avevamo fiducia è solo un demagogo, che i nostri miti esistono più nella finzione che nella realtà, che il bene non trionfa sempre sul male, che l’amore più intenso può tramutarsi in una cocente delusione, che la scelta compiuta ci impedisce di cogliere altre opportunità, riducendo l’orizzonte delle aspettative. Inoltre, apprendiamo verità scomode sulla vita, la società, l’amicizia, il lavoro ecc. Una volta che i miti sono infranti, è difficile recuperarli. Il cambiamento è irreversibile e non riusciamo più a vedere il mondo come un tempo. Abbiamo perso la nostra innocenza. La conoscenza è uno stato di non ritorno. La disillusione seguente ci mostra il mondo attraverso le lenti del cinismo. Se non riconosciamo che questi cambiamenti avvengono dentro di noi, è facile attribuire al mondo di essere diventato un luogo infido e sprezzante rispetto a quando eravamo giovani.
Un altro interessante esempio di come sia facile attribuire i cambiamenti interni ai cambiamenti del mondo esterno è dato dal rapporto degli adulti con la musica dei figli. Di solito, i genitori accusano i figli di ascoltare musica qualitativamente inferiore rispetto a quella che essi ascoltavano durante la giovinezza. Questa considerazione può detonare innumerevoli lamentele sul declino del mondo che non riesce a produrre più buona musica. In realtà, accade che le persone formino i propri gusti musicali in gioventù, quando sono anche più disposte a sognare e provare emozioni. Assorbono, dunque, la musica del periodo, che diventa il loro canone di riferimento. Crescendo, ogni deviazione dal canone viene percepita come un peggioramento. A ciò si accompagna il fatto che la maturità rende, come detto, più realisti e cinici e, quindi, meno propensi a sognare e fantasticare come in gioventù. Le nuove canzoni d’amore appariranno così inevitabilmente melense e sdolcinate. Al limite, lasceranno una impressione di “già sentito” e sembreranno “tutte uguali” e, quindi, incomparabilmente inferiori a quelle di un tempo che “sì che erano canzoni”.
È così che, come affermava il romanziere Leslie Poles Hartley in L’età incerta, «il passato [diventa] un paese straniero. Lì, tutto si svolge in modo diverso» Un paese straniero che tendiamo a idealizzare, quasi fosse un eden.
Fonte: R.P. Eibach, R. P., Libby, L. K. e Gilovich, T. D., 2003, “When Change in the Self Is Mistaken for Change in the World”, Journal of Personality and Social Psychology, vol. 84, n. 5, pp. 917-931. L’articolo è leggibile in inglese nella sezione “Risorse“.