È un dato su cui non si riflette a sufficienza il fatto che le nostre idee su istituzioni come la medicina, la scienza, la pubblica amministrazione e così via non dipendono da una corretta e informata valutazione delle stesse, ma dalle esperienze personali – nostre o di amici, parenti, conoscenti ecc. – che ci capita di fare di tali istituzioni.
Così, confondiamo spesso il cattivo funzionamento della sanità (che è un problema politico ed economico) con le esperienze negative fatte con il nostro medico o pediatra di base o con la vicissitudine sfortunata subita in ospedale.
Altre volte, sono le carenze comunicative del personale medico (che riguardano la formazione, psicologica e attitudinale, dei dottori, degli infermieri e del personale ausiliario) a indurci a un giudizio negativo nei confronti della medicina o del metodo in base al quale è possibile determinare l’efficacia di una terapia.
L’insuccesso di uno scienziato diventa spesso il fallimento della scienza o mina la credibilità degli scienziati. Allo stesso modo, una brutta esperienza con un dipendente pubblico autorizza, ai nostri occhi, ogni possibile contumelia nei confronti della pubblica amministrazione, che accusiamo di inefficienza e incapacità.
Come dicono gli americani, “dati” non è il plurale di “aneddoto”: una o più esperienze negative con una istituzione non legittimano un giudizio assolutamente negativo nei confronti della stessa. È la nota, ma insidiosissima, fallacia della generalizzazione, probabilmente il più grande “peccato cognitivo” che la nostra mente possa compiere.
Anche se è difficile, dovremmo sempre cercare di mantenere distinte fra loro esperienze personali e giudizi sulle istituzioni nel loro complesso. Oppure, se abbiamo il tempo, condurre ricerche approfondite ed esaminare i dati disponibili in argomento per riuscire a formulare un giudizio che si basi su una conoscenza informata e non aneddotica.