L’allure di un qualsiasi luogo turistico è fondato su immagini, ossia sulle rappresentazioni che di quel luogo hanno i turisti.
Si va in un certo posto perché fotografie, filmati, depliant, documentari, siti web comunicano una determinata immagine di esso che, riprodotta incessantemente e ossessivamente, diventa l’immagine per antonomasia del posto.
Questa immagine, abitualmente, seleziona determinati aspetti del luogo – quelli considerati più “caratteristici” – scartandone altri e appare come un velo, a tratti opaco a tratti trasparente, che, sovrapponendosi alla realtà, ne consente una visione solo parcellizzata.
In questo processo interattivo tra luoghi, immagini e percezioni dei luoghi, si innesca frequentemente il meccanismo della profezia che si autoavvera. Si dice che un luogo presenta determinate caratteristiche e a esso viene associata una determinata immagine. Tanto più questa immagine si diffonde, più essa viene riconosciuta e diventa riconoscibile, sedimentandosi nell’immaginario turistico collettivo. E più diventa riconoscibile, più conviene utilizzarla con la conseguenza che il luogo si adatterà, per motivi economici, a quell’immagine, facendola propria e venendo incontro ai gusti dei suoi visitatori.
È così che la Scozia è identificata con la cultura celtica, l’Australia con il paradiso degli appassionati di surf, l’Estremo Oriente con l’esotismo e la saggezza, Napoli con pizza e sfogliatelle ecc.
In questo modo, le nostre aspettative, credenze, rappresentazioni della realtà diventano quella realtà. Paradossalmente, tuttavia, il turista, una volta giunto alla sua meta, si illuderà di trovarsi di fronte a una percezione autentica, del tutto indipendente dal “gioco” psicosociale della profezia che si autoavvera che, invece, ha costruito quel luogo.
Del resto, noi umani lo facciamo spesso. Creiamo il mondo e crediamo che esso sia così per meriti propri. È successo con il capitalismo, con la democrazia, con la religione. Perché, sì, anche dio è una nostra creazione. Figuriamoci il turismo.
P.S. Sulla profezia che si autoavvera rimando, come al solito, al mio Oracoli quotidiani.