Nel 1939 la ventitreenne Mary Tudor discute una tesi per conseguire il Master of Arts in psicologia presso la State University dell’Iowa. Il titolo della sua ricerca è An experimental study of the effect of evaluative labeling of speech fluency (“Uno studio sperimentale degli effetti dell’etichettamento valutativo dell’eloquio”). Apparentemente una tesi come tante, con un linguaggio a tratti involuto, forse un po’ noiosa, per quanto apparentemente accurata da un punto di vista metodologico. Immaginiamo l’emozione della studentessa, la sua ansia, ma anche la gioia per aver condotto a termine un impegnativo percorso di studi. Immaginiamo l’orgoglio dei genitori, degli amici, forse del fidanzato per l’obiettivo raggiunto. Non è difficile prevedere i festeggiamenti dopo la discussione della tesi, indubbiamente una tappa importante della vita di questa donna.
In realtà, il lavoro di Mary Tudor fu molto più che un banale obbligo formativo. Quello che la donna all’epoca ignorava è che lo studio al quale aveva partecipato sarebbe passato alla storia con il nome inquietante di Monster Study e avrebbe sollevato infinite polemiche etiche, professionali e giudiziarie a oltre sessant’anni dalla sua conduzione. Soprattutto, avrebbe macchiato per sempre la fama del suo supervisore, il celebre psicologo Wendell Johnson (1906-1965), uno dei primi grandi esperti al mondo di patologie del linguaggio. Ma che cosa accadde? E perché l’esperimento della Tudor fu gravido di conseguenze così nefaste?
Leggi qui il mio racconto di questa straordinaria vicenda ancora oggi annoverata tra gli esempi di science gone wrong.