Casi come quello di Mohamed Lahouaiej Bouhlet, l’attentatore che il 14 luglio 2016 ha ucciso con il suo camion 86 persone e ferito altre 434 sul Promenade des Anglais a Nizza, hanno riproposto uno dei quesiti di più antica data sul terrorismo: se cioè i terroristi, in particolare i terroristi suicidi, siano individui “normali”, seppure fervidamente tesi al proprio obiettivo, o pazzi fanatici.
La biografia di Bouhlet parla, infatti, di un uomo divorziato, con tre figli, già indagato per violenze coniugali, dall’apparenza nervosa e instabile, che si è rivolto in passato a uno psichiatra, secondo il quale il terrorista avrebbe sofferto di disturbi psichiatrici seri, di tipo psicotico e avuto problemi con il suo corpo. Bouhlet sarebbe, dunque, un pazzo che, attraverso l’attentato, ha dato libero sfogo alle sue pulsioni folli?
La maggior parte degli studi in argomento rivela, in realtà, come riporto nel mio 101 falsi miti sulla criminalità, che «i terroristi non sono individui disfunzionali o affetti da patologie, e che il terrorismo è una forma di violenza politicamente motivata perpetrata da persone lucide e razionali che dispongono di validi (anche se non necessariamente condivisibili) motivi». Come si concilia questo dato con casi come quello di Bouhlet? Ce lo dice Marco Lombardi, docente di Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano, il quale in un bell’articolo di Francesca Ronchin, pubblicato dal supplemento domenicale del «Corriere della Sera», La Lettura il 4 settembre 2016 (e leggibile qui), segnala una precisa anomalia nel comportamento dell’ISIS: «La forza dell’Isis è quella di richiamare una quantità di profili più ampia rispetto alle organizzazioni del passato dove, dalle Brigate rosse ad Al Qaeda, c’era una selezione che escludeva i “pazzi” in quanto incontrollabili. Isis invece non fa differenze, rivendica qualunque attentato e dà una buona motivazione a tutti, da chi insegue l’avventura a chi è arrabbiato con il mondo, a chi pensa al suicidio e cerca un motivo in più per farlo».
Saremmo, dunque, di fronte a una strategia nuova e inusitata dell’ISIS, una strategia da bricoleur, che mette insieme, in maniera raffazzonata, tutto ciò che può servire alla causa. Potrebbe essere vero. Non cadiamo, però, nel tranello di pensare che se un individuo ha attraversato una fase depressiva nella sua vita o un episodio psicotico, sia necessariamente “pazzo”. La psichiatria ci insegna che i disturbi mentali possono accadere a tutti in vari momenti della vita e solo in alcuni casi si cronicizzano e diventano una caratteristica stabile dell’individuo. Lombardi aggiunge che «Isis starebbe puntando molto sui soggetti mentalmente fragili perché sono i più facili da mobilitare», ma “fragile” non significa “pazzo”. Ricordiamo che l’esecuzione di azioni terroristiche suicide o di altro tipo richiede un forte autocontrollo, lucidità mentale e motivazione coerente, tutte caratteristiche incompatibili con profili psichiatrici di schizofrenia, psicosi e altri gravi disturbi mentali.
Facciamo attenzione, dunque, a usare le parole correttamente, altrimenti potremmo ritrovarci ad etichettare determinate azioni come “folli” solo perché l’esecutore ha messo in atto un comportamento folle.