Per Profezia che si autoavvera si intende, con le parole del sociologo americano Robert Merton, «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria “veridicità”». Il concetto è stato impiegato per spiegare miriadi di fenomeni sociali tanto in sociologia quanto in psicologia, antropologia e altre scienze sociali. In criminologia, ha riscontrato un successo parziale, nonostante si presti bene a spiegare alcuni avvenimenti altrimenti incomprensibili. Uno di questi è il terrorismo, o meglio, come accade che leader e gruppi terroristici salgano improvvisamente alla ribalta e diventino minacce pericolosissime per il mondo intero.
Loretta Napoleoni, autrice del libro Isis. Lo stato del terrore (2014) e, prima ancora, di un articolo intitolato The Myth of Zarqawi (2005), offre un gustoso esempio di come un micidiale terrorista come Abu Musab Al Zarqawi sia stato “creato” da una profezia che si autoavvera.
Il giordano Al Zarqawi nasce nel 1966 da una umile famiglia operaia. Dopo un breve periodo in cui compie banali azioni di delinquenza, va in Afghanistan e abbraccia il salafismo, un’ideologia islamica radicale che predica il rigetto assoluto dei valori occidentali. Viene arrestato in Giordania come sovversivo e trascorre cinque anni in prigione, dopo di che diventa un jihadista con un pugno di seguaci. Nel 2000, a Kandahar, inontra Osama Bin Laden, ma rifiuta di far parte di Al Qaeda, essendo più interessato a sovvertire il governo giordano che a combattere contro gli Stati Uniti. Poi succedono i fatti dell’11 settembre 2001 e il destino di Al Zarqawi cambia radicalmente. Ecco come nelle parole di Loretta Napoleoni:
La prima volta che le autorità americane sentirono parlare del giordano fu verso la fine del 2001, dopo l’11 settembre; a informarle furono i servizi segreti curdi. I curdi sostenevano che al Qaeda aveva aperto una nuova base a Bajara, nel Kurdistan iracheno, gestita da una nuova organizzazione jihadista, l’Ansar al Islam. Nel 2001, il Jund al Islam, un gruppo di giordani della città di al Salt aveva conosciuto al Zarqawi al tempo della sua detenzione in Giordania e che si era mantenuto in contatto con lui, era confluito nell’Ansar al Islam. Senza disporre di alcuna prova concreta, il servizio segreto curdo si servì di questa alleanza per collegare al Zarqawi ad al Qaeda. Al Zarqawi fu individuato come il tramite tra i due gruppi in virtù dei suoi contatti personali con i giordani e del suo campo di addestramento afghano a Herat, situato vicino a dei punti d’ingresso degli jihadisti in Afghanistan.
Quando la notizia li raggiunse, gli americani, che non sapevano nulla di al Zarqawi, contattarono immediatamente le autorità giordane per scoprire chi fosse. Fu a questo punto che a Washington cominciò a prendere forma l’idea di costruire intorno a questo personaggio una mitologia che giustificasse un intervento in Iraq basato sul legame fittizio tra al Qaeda e Saddam Hussein.
Indagini congiunte condotte dalle autorità americane e giordane iniziarono ad accusare al Zarqawi di essere stato l’ideatore di un complotto di al Qaeda, poi sventato, in Giordania durante le celebrazioni del millennio; dell’assassinio nel 2001 di un cittadino israeliano, Yitzhak Snir, e nel 2002 del diplomatico americano Lawrence Foley: due operazioni che erano state rivendicate da una sconosciuta organizzazione armata, gli Onorevoli della Giordania. Naturalmente nessuna prova concreta fu presentata a sostegno di queste accuse. Anzi, alla fine dell’aprile 2004, dopo che al Zarqawi fu condannato a morte in contumacia per entrambi gli omicidi, gli Onorevoli della Giordania inviarono una dichiarazione in cui smentivano ogni suo coinvolgimento. Il messaggio era accompagnato dai bossoli delle pallottole che avevano ucciso sia Foley sia Snir.
Gli americani avevano molto da guadagnare dalla creazione del mito di al Zarqawi. Dall’11 settembre 2001 al 20 marzo 2003 Washington si era data da fare per raccogliere le prove necessarie per giustificare l’attacco preventivo in Iraq. Il regime di Saddam era stato accusato di possedere armi di distruzioni di massa e di sostenere il terrorismo. Senza alcuna prova relativa all’esistenza delle armi nucleari, il sostegno di Saddam al terrorismo era l’unica carta in mano all’amministrazione Bush con la quale convincere il mondo che bisognava rimuovere il dittatore iracheno. Per giocarla, però, sia Bush sia Blair dovevano dimostrare qualcosa che non era vero: che Saddam Hussein e al Qaeda erano soci in affari. L’anello di questo inesistente collegamento era Abu Musab al Zarqawi.
Il 5 febbraio 2003, Colin Powell, davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, individua in Al Zarqawi l’uomo di Al Qaeda in Iraq, nonché un pericolosissimo terrorista internazionale. Da quel momento, Al Zarqawi diventa il nuovo astro del jihadismo e gli sponsor cominciano a riversare fiumi di denaro su di lui e sul suo gruppo. In questo modo, un pesce piccolo, a causa di una serie di interessi convergenti di americani, giordani e curdi, diventa una balena di dimensioni gigantesche. Intorno a lui si coagulano credenze, aspettative e convinzioni a cui seguono azioni concrete (ingenti offerte di denaro, afflusso di uomini) che finiscono con il confermare l’aspettativa iniziale. Dopo Bin Laden, Al Zarqawi è il pericolo pubblico numero 1 e lo sarà fino al 2006, anno in cui sarà ucciso.
Vengono così realizzate le tre condizioni perché vi sia una profezia che si autoavvera:
- Una convinzione o credenza consapevole o non consapevole;
- Un’aspettativa legata a questa convinzione o credenza;
- Un comportamento che discende da questa convinzione o credenza e che finisce con il confermarla o con l’avere conseguenze reali
In contesto:
- Gli Stati Uniti indicano in Al Zarqawi un pericolosissimo terrorista (Una convinzione o credenza consapevole o non consapevole);
- Al Zarqawi catalizza le aspettative e le attenzioni di osservatori internazionali, sponsor del terrorismo e autorità varie (Un’aspettativa legata a questa convinzione o credenza);
- In seguito a ciò, Al Zarqawi riceve finanziamenti, uomini e credibilità che effettivamente lo trasformano in un pericolosissimo terrorista (Un comportamento che discende da questa convinzione o credenza e che finisce con il confermarla o con l’avere conseguenze reali).
La profezia che si autoavvera genera, così, un nemico pubblico. Se consideriamo che l’attuale Isis discende dal gruppo di Al Zarqawi, la “creazione” di questo terrorista è responsabile anche dell’ascesa del gruppo che attualmente semina il terrore nel Medio Oriente con conseguenze che, al momento, non sono ancora chiare, ma che si preannunciano tremende.
Bibliografia di riferimento
Merton, R.K., “La profezia che si autoavvera”, in Idem, 1970, Teoria e Struttura Sociale, vol. II, Il Mulino, Bologna.
Napoleoni, L., 2014, Isis. Lo stato del terrore, Feltrinelli, Milano, pp. 68-70.