Nel calcio, i portieri professionisti possiedono abilità percettivo-cognitive diverse dal resto dei giocatori in campo (outfield players, in inglese)?
È questa la domanda che si sono posti gli autori di Distinct profiles of multisensory processing between professional goalkeepers and outfield football players, ricerca che compare nella sezione Correspondence della rivista “Current Biology” di ottobre di quest’anno. È curioso notare che tra essi compare il nome di Michael Quinn (gli altri due sono Rebecca J. Hirst e David P. McGovern), ex portiere professionista irlandese.
Per farla breve, la risposta è sì. I portiere professionisti sono più rapidi nell’elaborare le informazioni provenienti da sistemi sensoriali diversi rispetto agli altri calciatori, il che potrebbe spiegare perché sono tanto abili nell’adottare importanti decisioni nel giro di una frazione di secondo, quando sono chiamati in causa.
Per indagare la loro ipotesi, i ricercatori hanno reclutato 20 portieri professionisti, 20 calciatori che occupavano altri ruoli in campo e 20 soggetti non impegnati nel calcio professionistico (gruppo di controllo), tutti uomini.
Ogni partecipante è stato esposto a una o due immagini mostrate brevemente su uno schermo, seguire da uno, due o zero segnali acustici. Di norma, se esposti in rapida successione a un’immagine e a due segnali acustici, gli individui assumono erroneamente che vi siano state due immagini. In altre parole, segnali visivi e uditivi sono uniti. Con l’aumento dell’intervallo tra immagine e suono, tuttavia, l’illusione diventa più debole.
I ricercatori hanno scoperto che i portieri riescono a individuare con precisione il numero di immagini e suoni a un intervallo temporale molto inferiore rispetto agli altri soggetti, siano essi gli altri calciatori professionisti o i non calciatori. Nelle parole dei tre autori, “i portieri esibiscono sia una migliore stima audiovisiva sia una tendenza a priori a isolare i segnali sensoriali rispetto agli altri due gruppi”. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i portieri hanno necessità di separare stimoli visivi e uditivi per una migliore esecuzione delle loro prestazioni e, quindi, elaborano con maggiore prontezza e rapidità gli stimoli multisensoriali.
Ad esempio, quando un calciatore colpisce la palla, i portieri non solo utilizzano informazioni visive per decidere la direzione della palla, ma fanno affidamento anche su informazioni uditive come il suono della palla nel momento in cui viene colpita; comunque, la relazione tra questi stimoli multisensoriali varia in relazione alla distanza di chi colpisce la palla dal portiere e, in molti casi, ad esempio quando la palla è colpita fuori dall’area di rigore, le informazioni sensoriali sono momentaneamente dissociate. In altre situazioni, come quando chi colpisce la palla è coperto da altri calciatori, i portieri fanno affidamento più su informazioni uditive che su informazioni visive.
Ovviamente, a questo punto la grande domanda è: tali abilità percettivo-cognitive dipendono dalla pratica costante del ruolo o da precedenti doti innate? Gli autori non sono in grado di rispondere a questo importante quesito, che peraltro ripropone l’annosa questione nature vs. nurture.
Nel frattempo, in attesa che la scienza trovi una risposta definitiva, vi rimando al mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso (Meltemi Editore, Milano, 2020) nel quale cito numerosi altri studi sulla psicologia dei calciatori.