Per chi, come me, è pendolare per lavoro, non è infrequente che il proprio viaggio in treno venga interrotto o ritardato dal verificarsi di furti di cavi di rame, un tipo di reato che molti sottovalutano, ma che desta da qualche anno un certo allarme sociale, come dimostra, fra l’altro, l’istituzione, nel 2012, presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia criminale, dell’Osservatorio nazionale sui furti di rame, con il compito di “monitorare il fenomeno e mantenere alto il livello di attenzione delle Istituzioni preposte alla tutela dei beni e della sicurezza del cittadino”.
Ogni anno si stima che spariscano migliaia di tonnellate di rame, per lo più ai danni delle Ferrovie dello Stato, dell’ENEL e della TELECOM, con pesanti ricadute finanziarie non solo sulle finanze di questi enti, ma anche, ovviamente, sui servizi che gli stessi offrono ai cittadini.
Sembra che il rame, chiamato “oro rosso”, sia sempre più scarso e ricercato e che possa valere anche 7,5 euro al chilo sul mercato nero. In tempi di crisi come quelli in cui viviamo, il traffico di rame è aumentato paurosamente, anche se se ne parla poco rispetto ad altri tipi di traffici.
Rivela un articolo della «Stampa»
La ragione dell’exploit dei furti di rame è semplice: il prezzo del metallo è passato da 4,65 euro al chilo nel 2012 ai 6,82 euro nel 2013. Oggi il rame si vende a 6,45euro al chilo e i furti di cavi sono diventati una costante su tutto il territorio. L’«oro rosso», infatti, ha un’area di esportazione molto vasta che va dall’Est Europa a India e Cina: la filiera clandestina prevede che il metallo venga rubato, comprato e immediatamente fuso dai grossisti e poi trasformato in barre per essere rivenduto.
Chi, però, pensa che il furto di rame sia un fenomeno recente, si sbaglia di grosso. In Italia, ad esempio, diversi periodi di crisi hanno visto il verificarsi di questo tipo di reato. Uno di questi fu il periodo successivo alla Seconda Guerra mondiale, come testimonia Norman Lewis, ufficiale dell’intelligence britannica che visse a Napoli durante l’occupazione alleata e fu autore di Napoli ’44, uno dei migliori scritti su quel periodo della storia napoletana. Ecco cosa scrive Lewis:
Il taglio dei cavi telefonici è diventato un flagello. La settimana scorsa ce la siamo dovuta vedere con un caso al giorno. Di tutti gli incarichi strampalati che ci appioppano, questo è il più noioso e frustrante. Anche il più ingrato, visto che non si approda mai a nulla. Finora i soli ad avere acciuffato qualche tagliatore di cavi sono quelli dello speciale nucleo investigativo della Military Police, e il paragone tra la nostra efficienza e la loro ha dato luogo a considerazioni piuttosto amare, al Comando dell’esercito. Insistono col dire che siamo di fronte ad atti di deliberato sabotaggio, mentre noi sappiamo benissimo che i pezzi di cavo vengono tagliati soltanto per il valore commerciale del rame, che come ogni altro articolo di proprietà alleata viene tranquillamente venduto in via Forcella (Lewis, N., 2013, Napoli ’44, Adelphi, Milano, pp. 86-87).
L’epidemia dei cavi tagliati continua, accompagnata dal cupo brontolio delle minacce del Generale in sottofondo, e da un’offensiva in grande stile della Military Police. Come sempre chi ci rimette sono i poveracci che tagliano i cavi, mentre ad arrivare a chi il rame lo commercia neanche ci si prova (p. 93).
Queste osservazioni, per quanto scarne, stimolano due interrogativi: 1) Il furto di rame è comune nei periodi di crisi (bellica o economica)?; 2) Dietro questo tipo di reato, c’è sempre la criminalità organizzata, come dicono i rapporti di polizia oggi e come lascia intendere Lewis nel 1944?; 3) Chi sono i ladri? A sentire le cronache, sembra che siano sempre “zingari” e “romeni”. Ma chi c’è dietro di loro?
Certo è che questa tipologia criminale attende di essere esaminata a fondo in relazione alle motivazioni, ai traffici, ai fatturati e alle organizzazioni coinvolte. Non so se qualcuno abbia già scritto sull’argomento. Sarebbe interessante farlo.