In Molto rumore per nulla (atto V, scena I), Shakespeare fa dire al vecchio Leonato che affronta Claudio, reo di avere diffamato la figlia Ero: «Non parlo da scemo rimbambito, che invoca il privilegio dell’età per vantarsi di quello che ha fatto da giovane, o di quello che farebbe se solo non fosse vecchio».
La vecchiaia agisce spesso da scudo: uno scudo dietro il quale ci si può vantare delle azioni compiute in passato, celebrandole come imprese spesso più grandi di quelle che sono, e grazie al quale si ostentano qualità che solo la vecchiaia, appunto, impedirebbe di mettere in atto (“Ah, se fossi giovane adesso”). Si tratta di una delle caratteristiche della vecchiaia più familiari, ma al tempo stesso più sottaciute dalla psicologia.
Chi è vecchio si trova nella posizione di poter rimandare indietro nel tempo le sue azioni, azioni talvolta tanto lontane da non essere più verificabili, e di costruire intorno a esse una mitologia personale che, come tutte le mitologie, tende a mettere in rilievo alcune caratteristiche, eliminare o smussare altre; proiettare fasci di luce su alcuni eventi, abbandonare all’oscurità e all’oblio altri, di solito meno nobili o meritevoli di essere rievocati. L’esito di questi ritocchi mnemonici, proposto e riproposto nell’attualità, contribuisce a creare l’aura biografica del vecchio, costellata di tanti eventi filtrati dal tempo e dal ricordo e narrati secondo modalità degne di un esperto di marketing dell’esistenza. Questa caratteristica permette al vecchio di fornire una versione, potenzialmente non falsificabile, dei fatti della propria biografia che serve da credito personale da far valere nei dialoghi dell’ultima parte della vita.
Associata a questa tecnica che potremmo definire del “ricordo dorato” è quella del “rimpianto retorico” che consiste nel sostenere che, se solo si potesse risalire nel tempo, si sarebbe in grado di fare questo e quello: la vecchiaia, dunque, come freno difensivo di una potenzialità che diventerebbe sicuramente atto se solo si fosse giovani. Anche in questo caso, la non verificabilità della pretesa del vecchio consente di autoattribuirsi qualsiasi impresa, per quanto improbabile, tanto non ci sarà mai modo di realizzarla.
La terza età possiede, dunque, privilegi – come notava Shakespeare – che le altre età non possiedono e che consentono di conservare status e reputazione facendo leva su formule retoriche che in altre età apparirebbero ridicole. Sappiamo tutti che molti abusano di questi privilegi al limite della ripetizione ossessiva. In altri, invece, il loro uso è più modesto. In ogni caso, appare un segno di rispetto da parte di chi vecchio non è riconoscere e rispettare tali privilegi, che contribuiscono a rendere più tollerabili gli ultimi anni dell’esistenza.
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