«Rigore è quando arbitro fischia» diceva l’allenatore della Sampdoria Vujadin Boškov. Una banalità? Una tautologia? In realtà, una frase che consente di esprimere considerazioni molto profonde.
Ad esempio, il linguista John Austin osservava che alcune parole sono atti performativi ossia permettono di compiere azioni. Verbi come “battezzare”, “scommettere”, “promettere”, “perdonare” eseguono l’azione che essi significano nel momento stesso in cui sono pronunciati. Lo stesso vale per il fischio arbitrale: sebbene questo non sia propriamente un termine, nel momento in cui viene emesso, esso si traduce in una azione definitiva, sanziona un comportamento, ratifica la sanzione e formalizza la decisione. Tutto con un singolo suono emesso dalla bocca.
In secondo luogo, come nella “teoria dell’etichettamento” di Howard Becker, secondo cui alcuni comportamenti devianti sono tali perché sono etichettati in questo modo da un imprenditore morale, così il fischio arbitrale serve, fra l’altro, a etichettare il comportamento del calciatore come un atto deviante: condizione che può essere certificata da un cartellino giallo o rosso, secondo la gravità del comportamento, e prevedere sanzioni come la squalifica per un periodo più o meno lungo. L’arbitro, dunque, come giudice.
Ancora, per quanto possa essere frutto di discrezionalità, la decisione dell’arbitro dà vita a effetti di ratificazione, certificazione e razionalizzazione: quando l’arbitro prende una decisione, quella decisione certifica ineluttabilmente uno stato di cose, lo “cosalizza”, trasformandolo in un “oggetto solido” da cui partire per ulteriori considerazioni. Un calciatore espulso acquista, per così dire, una nuova identità che andrà a incidere sia sul suo destino sociale (non potrà giocare la/le prossima/prossime partita/partite), sia sulla sua valutazione da parte di giornalisti, addetti ai lavori e tifosi. La decisione dell’arbitro si traduce, dunque, in un punto fermo della carriera del calciatore: la “punteggiatura” attribuita al giocatore determina la sua biografia professionale.
Infine, il fischio dell’arbitro è un atto sommamente creativo. I fatti del calcio semplicemente non esisterebbero se l’arbitro non li “chiamasse in esistenza”, non li “convocasse”. Come un novello Lazzaro, il calcio è sempre in attesa che qualcuno lo inviti ad “alzarsi e camminare”. In questo senso, l’arbitro è una divinità e proprio in quanto divinità è spesso sottoposto al meccanismo del capro espiatorio. Solo chi è dotato di poteri “soprannaturali” può essere infatti oggetto di ingiurie e contumelie. Solo chi “regna negli spazi celesti” può diventare bersaglio di odi che rasentano la voglia di omicidio.
«Rigore è quando arbitro fischia» non è una frase banale. Anche se forse Boškov non lo sapeva.