In psicologia si intende per confirmation bias (“tendenza alla conferma” o “bias della conferma”), la tendenza a notare e ricercare solo le informazioni che confermano le nostre credenze e ad ignorare o sottovalutare quelle che le contraddicono. Si tratta di una forma di pensiero selettivo molto subdola e praticamente onnipresente nella nostra vita. Possiamo proporre alcuni esempi. Chi è convinto che incrociare un gatto nero porti sfortuna tende a ricordare solo i casi in cui avvengono episodi sfortunati in relazione all’incontro con un gatto nero e a dimenticare gli altri casi. Chi crede nei poteri di maghi e sensitivi tende a citare o ricordare solo le volte in cui il mago o sensitivo sembra rispondere in maniera congrua agli interrogativi posti dal “cliente” e a dimenticare le “cavolate” di contorno.
A mio avviso, non si è riflettuto a sufficienza sull’importanza di questo meccanismo come puntello cognitivo della religione. Mi capita spesso di incontrare credenti convinti che questa o quella persona (icona, luogo, santuario ecc) sia dotata di poteri miracolosi perché “santa” o “unta” o altro ancora. A sostegno di queste affermazioni, il credente cita di solito aneddoti che dovrebbero dimostrare la grazia concessa a un determinato individuo dopo che questi è entrato in contatto con il “santo” (o icona, luogo, santuario ecc.). Altrettanto comune è il fatto che il credente tenda a dimenticare che, a fronte di una persona che avrebbe ottenuto una grazia, migliaia non possono dire la stessa cosa. Un esempio clamoroso di come una credenza possa contribuire a costruire la reputazione di un individuo (o icona, luogo, santuario ecc.). A tal proposito, mi piace citare un gustoso esempio erudito, tratto dal Novum Organum di Bacone: «Giusta fu la risposta di colui che, quando gli fu mostrato un quadro appeso in un tempio da coloro che avevano assolto un voto perché erano scampati al pericolo di un naufragio, incalzato dalla domanda se non vi riconoscesse la potenza degli dei, chiese a sua volta: “Ma dove sono dipinti quelli che, dopo aver fatto il voto, sono morti?”». Infatti, soltanto coloro che sopravvivono a un naufragio sono in grado di dire che prima avevano pregato.
Ancora oggi si dà molto risalto a chi, dopo aver pregato, “ottiene” un miracolo a scapito di chi – e sono la stragrande maggioranza – non ottiene nulla. Di questi non si dice nulla. O quasi. I credenti, infatti, sono molto bravi a trovare forme di razionalizzazione che “spiegano” perché non si siano verificati i miracoli esortati dalle preghiere di tanti. Sono, di volta in volta, chiamati in causa la poca fede, una vita peccaminosa, la capacità espiativa del dolore e così via. Tranne che poi, a indagare bene, ci si rende conto che anche chi avrebbe ottenuto il miracolo non si contraddistingue per una grande fede, ha alle sue spalle la sua dose di peccati ecc.
Penso che la religione si fondi, cognitivamente, sulla forza di meccanismi come la tendenza alla conferma. Sarebbe interessante approfondire la questione con una indagine ad hoc che prenda il via dal più grande e “insondabile” meccanismo psicologico di tutti: la fede.
Dottore, a mio parere il confirmation è il più “umano” e diffuso dei bias. Perché ha a che fare col racconto che facciamo di noi stessi. Nessuno ne é immune, perché, in qualche ambito, ognuno avverte qualcosa in cui crede, qualcosa che pensa sia vero, come costitutivo di sé. Inoltre in alcuni ambiti, anche della scienza stessa, la complessità é tale da consentire aggiustatine, magari plausibili, magari probabili, della sceneggiatura. Cari saluti e buon Natale.
Grazie come sempre per il suo contributo e buon natale anche a lei.