“Recuperare le proprie radici”. “Rimanere fedeli alle proprie tradizioni”. Quante volte ci è capitato di sentire frasi del genere? Nella nostra società multietnica, multiculturale e multinazionale dove le più disparate identità convivono e confliggono fianco a fianco siamo persistentemente invitati a non dimenticare le radici dela nostra cultura nel presupposto che sono queste che ci definiscono e fanno di noi ciò che siamo. In queste argomentazioni viene dato per scontato che le tradizioni siano qualcosa di eterno e immutabile a cui possiamo affidare con certezza la nostra ricerca di senso. Così il napoletano è tale perché della sua cultura fanno parte elementi che sono “tipici” da sempre dei napoletani come il “sole”, il “canto”, il “mandolino”, la “pizza”, la “sfogliatella”, “San Gennaro”. L’italiano del Nord consuma polenta. L’inglese mangia fish and chips e beve tè perché fanno parte della sua tradizione. I greci antichi sono i progenitori della democrazia e della cultura mondiale, caratteristiche che dovremmo riscontrare in tutti i greci contemporanei e così via. In realtà, a ben vedere, si scopre che le tradizioni non sono affatto eterne e immutabili, che hanno una data di origine e anche di fine, che ciò che è considerato tradizionale oggi può non esserlo più domani, che spesso sono costituite di frammenti culturali congelati nel tempo e ascritti a una determinata identità nazionale, che sono costruzioni sociali che assumono significati disparati secondo chi le costruisce, come e perché. Le tradizioni, infine, diventano strumenti retorici di persuasione e di ottenimento del consenso nelle mani dei politici che se ne avvalgono per i propri obiettivi di parte.
Un esempio, illustrato da Maurizio Bettini nel libro Radici, di recente pubblicazione, è dato dalle tradizioni alimentari. Pensiamo ai pomodori che associamo spontaneamente a pizza e spaghetti, piatti “tipicamente” italiani. È noto che essi provengono dall’America Centrale (xitomatl in lingua Nauhatl da cui l’inglese tomato), come pure la patata, il peperone e il peperoncino, che tendiamo ad associare nazionalmente a Calabria e Messico. È di origine americana anche il mais dal quale ricaviamo la polenta e il fagiolo. Le melanzane sono state introdotte in Europa dagli arabi, mentre le mele sono il risultato di una importazione orientale dal Kazakistan. Le radici alimentari dell’Italia, quindi, lungi dall’essere pure e pristine, sono, al contrario, frutto di contaminazioni, importazioni e compromessi vari. Proprio come tutto ciò che compone la nostra tradizione in generale. Le tradizioni non sono pure, così come non esiste il “sangue puro” dei nobili. Perfino la purezza è una costruzione sociale in cui alcuni elementi sono selezionati e altri rimossi per comporre la figura più consona all’immaginario collettivo della purezza.
Diciamolo chiaramente: quando si grida alle difesa delle radici, il più delle volte, lo si fa per difendere obiettivi di parte intorno a cui aggregare consenso politico e sociale.