La particolare psicologia sociale prodotta dalle malattie epidemiche ad ampia diffusione può potenzialmente generare un sostanziale, seppure transitorio, crollo dell’ordine sociale convenzionale. Possono derivarne conseguenze estremamente disparate e corrosive: si temono amici, familiari, vicini e, soprattutto, estranei; si lasciano senza cure gli ammalati; si sfuggono e perseguitano quanti sono ritenuti portatori della malattia; chi non è malato teme di esserlo; la società viene lacerata da aspre controversie morali; i convertiti abbandonano le vecchie occupazioni per predicare un nuovo vangelo di salvezza; i governi sono colti dal panico. Almeno temporaneamente, il mondo è sottosopra.
In un post precedente, ho introdotto l’articolo di Philip Strong “Epidemic Psychology: a model” (Sociology of Health & Illness, vol. 12, n. 3, pp. 249-259), che mi sembra una delle poche proposte che consenta un’analisi di stampo sociologico del momento critico che stiamo attraversando.
Sebbene concepito ai tempi della diffusione dell’AIDS, il testo di Strong propone un modello concettuale applicabile a tutte le epidemie ad ampia diffusione e può, dunque, costituire un punto di partenza per eventuali riflessioni o ricerche sulla “sociologia delle epidemie”, un campo forse ancora poco frequentato dai sociologi di oggi, ma destinato sicuramente ad attirare sempre più studiosi.
Qui propongo la mia traduzione italiana del testo di Strong nella speranza che possa essere utile a chi voglia cominciare a conoscere questo affascinante settore di indagine.