Per la maggior parte delle persone, “naturale” è ciò che è sempre stato così, che non è mai stato toccato o modificato dall’uomo, che si mantiene allo stesso modo da secoli.
Prendiamo le carote, per esempio. Una carota naturale è una carota di colore arancione. Nessun altro colore sarebbe associato alla natura. Figuriamoci il viola. “Come? Una carota viola?” obietterebbe qualcuno. Quali processi chimici dovrebbe subire una carota per diventare viola? Non osiamo nemmeno immaginarlo. Ma qualsiasi cosa fosse, dovrebbe subire degli interventi pesantemente manipolativi e artificiali. Perché, ripetiamolo, le carote viola in natura non esistono.
O forse sì?
Chi studia la “storia della natura” sa che le carote originariamente erano proprio viola e che sono diventate arancioni per selezione o per mutazione (non si sa ancora) nel XVII secolo in Olanda. Qualcuno dice che fu in omaggio alla dinastia degli Orange (“arancione” in inglese), ma il tutto appare una leggenda basata su una coincidenza linguistica. Ciò che è sorprendente è che sono bastati appena trecento anni per alterare la nostra memoria storica e convincerci che l’arancione è il colore naturale di questo prezioso ortaggio. Tanto che recenti tentativi di reintrodurre nel mercato alimentare la carota viola sono stati guardati con sospetto. Come affermano Dario Bressanini e Beatrice Mautino nel loro libro Contro natura. Dagli OGM al «bio», falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola (Rizzoli, Milano, cap. 5): «Diamo spesso per scontato che i prodotti agricoli che acquistiamo e mangiamo abitualmente siano rimasti immutati nel corso dei millenni. In realtà non è così: il lento processo di domesticazione di vegetali e animali ha modificato profondamente le proprietà e l’appartenenza stessa di molti prodotti».
Tutto quello che mangiamo ha subito e subisce modificazioni genetiche, anche pesanti. Il cibo “naturale” semplicemente non esiste. Niente rimane immoto nei secoli, che ci piaccia o meno. «Il cibo “naturale”» continuano Bressanini e Mautino «è solo ciò che noi culturalmente decidiamo essere “naturale” in base a criteri che sono in larga parte arbitrari». È la mancanza di memoria storica a impedirci di mettere nella giusta prospettiva i cambiamenti che avvengono.
Insomma, il “naturale” è una costruzione sociale. La stessa dicotomia natura-cultura è una costruzione sociale. La stessa nostra ossessione per il “naturale” e il “biologico” è una ossessione sociale. Ce ne accorgeremo tra qualche decennio, quando la distanza temporale ci consentirà di cogliere in pieno la storicità dei nostri gusti alimentari.