Per chi pensa che le parole siano solo parole, ecco due episodi curiosi da ricordare.
Il poeta tedesco Heinrich Heine (1797-1856) narra nel libro Ideen. Da Buch Le Grand. Memoiren (1827) di aver cominciato a prendere in odio la religione durante le lezioni di francese che frequentava in gioventù:
Ma anche il francese ha le sue difficoltà e per impararlo sono richiesti molti acquartieramenti, fragoroso rullo di tamburi, gran «apprendre par coeur» e soprattutto non si deve essere una «bête allemande». In questa lingua ci sono parecchie parole difficili, mi ricordo ancora bene, come se fosse accaduto ieri, le molte noie avute per «la religion». Per ben sei volte mi fu rivolta la domanda: «Henri, come si dice fede in francese?». E per ben sei volte, sempre più col pianto in gola, avevo risposto: «Si dice “le crédit”». E alla settima volta l’esaminatore, furibondo e rubizzo in volto come una ciliegia, gridò: «Si dice “la religion” » – e giù botte, mentre tutti i compagni ridevano. Signora! Da quel tempo non posso sentir nominare la parola «religion» senza che la mia schiena impallidisca dalla paura e le mie guance arrossiscano di vergogna. Ma, in tutta franchezza, nella vita «le crédit» mi è servito più della «religion». – In questo momento mi viene in mente che sono debitore ancora di cinque talleri all’oste del «Leone» a Bologna – E mi prendo veramente l’impegno di dargliene in aggiunta altri cinque se nella mia vita non mi toccherà più di sentire l’infausta parola «la religion».
Il poeta sovietico Vladimir Majakovskij (1893-1930) attribuiva le sue scelte esistenziali a un episodio accaduto durante l’esame di ammissione al ginnasio:
Il prete domandò cosa è “oko”. Risposi: “tre libbre” (così è in georgiano). Mi spiegarono i cortesi esaminatori che “oko” è “occhio” in antico slavo ecclesiastico. Per questo, per poco non fui bocciato. Per questo presi in odio subito tutto l’antico, tutto lo slavo, tutto l’ecclesiastico. Può darsi che di qui sia nato il mio futurismo, il mio ateismo e il mio internazionalismo (cit. in Straniero M., 1997, I comunisti, Mondadori, Milano, p. 70).
Come possono due, apparentemente banali, infortuni linguistici spingere due futuri grandi poeti a scegliere l’ateismo? Siamo sorpresi, ma non dovremmo. Non si dice forse che più della spada ferisce la parola?