Il rosario consiste in 4 serie (chiamate “corone”) di 50 Ave Maria, per un totale di 200, divise a gruppi di 10 (decine) relative alla meditazione dei “misteri” (eventi o momenti significativi) della vita di Gesù Cristo e di Maria. Ogni serie è preceduta da un Padre nostro e si conclude con un Gloria al padre. Prima della lettera apostolica di Giovanni Paolo II Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002, che ha introdotto i cinque “misteri luminosi”, le serie erano tre e, quindi, le Ave Maria erano 150. In questa veste, per molti anni è stato conosciuto il rosario. I “misteri” della vita di Gesù e di Maria sono in totale venti, suddivisi, come detto, in quattro corone (cinque misteri per corona). La prima Corona comprende i misteri gaudiosi, contemplati il lunedì e il sabato; la seconda i misteri luminosi, contemplati il giovedì; la terza i misteri dolorosi, contemplati il martedì e il venerdì; la quarta i misteri gloriosi, contemplati il mercoledì e la domenica. Secondo tradizione, ogni giorno va recitata una corona, meditandone i relativi misteri. La versione integrale della preghiera recitata ogni giorno è considerata un compito estremamente impegnativo e lungo.
Il rosario non è una semplice preghiera. Intorno a esso si è edificato nel tempo un complesso di significati, funzioni, retoriche, mistiche, che hanno conferito a questa particolare forma di orazione un rilievo che trascende la mera comunicazione con il divino per assumere una accezione salvifica, apotropaica, miracolistica, meditativa come poche altre esperienze religiose.
Ad esempio, per il beato Alano della Rupe (1428-1475), autore de Il salterio di Gesù e di Maria: genesi, storia e rivelazioni del ss. Rosario, forse il testo che più ha contribuito alla propagazione di questa forma di preghiera, il rosario, fra l’altro, offre la salvezza ai peccatori, fa scaturire sorgenti d’acqua dai cuori più riarsi, scioglie le catene del peccato, dona la gioia a chi è nel pianto, porta la pace a chi è nella prova.
Per san Luigi Maria Grignion de Monfort (1673-1716), autore di una delle principali pubblicazioni ai fini della diffusione della preghiera, Il segreto ammirabile del Santo Rosario, per convertirsi e per salvarsi, il rosario «è senza dubbio la prima e la principale devozione in uso presso i fedeli, dal tempo degli Apostoli e dei primi discepoli, dì secolo in secolo giunta fino a noi».
Il papa Leone XIII (1810-1903) emanò ben undici encicliche dedicate al rosario e «confermò tutte le indulgenze che la Chiesa aveva connesso a tale devozione nel corso dei secoli, oltre ad aggiungerne di nuove» (Calloway, 2017, p. 169). Pio XII (1876-1958) definì il rosario «il compendio di tutto quanto il Vangelo» (Giulietti, 2013, p. 9). Più di recente Giovanni Paolo II (1920-2005) ha promosso il rosario in ogni parte del mondo, contribuendo a farne la devozione mariana più diffusa tra i cattolici della fine del XX secolo.
Il beato Bartolo Longo (1841-1926) istituì il santuario della Madonna del Rosario a Pompei, facendone poi dono alla Santa Sede.
Praticamente tutte le apparizioni mariane che si sono verificate nel XIX e nel XX secolo sono state accompagnate dalla raccomandazione di recitare il rosario per tenere lontano il male e conquistare la vita eterna. Per Emanuele Giulietti, autore di una recente Storia del rosario, questa preghiera conduce «attraverso i misteri contemplati, a ripercorrere amorosamente tutto il mistero di Dio» (2013, p. 7). Se si sfoglia il recente testo di un sacerdote statunitense, si possono leggere frasi come: «Il rosario è un’arma spirituale, una spada celeste forgiata dalla mano di un artefice divino» (Calloway, 2017, p. 13); «[il rosario è una] arma spirituale potente e corona di rose per la Regina del Cielo» (Calloway, 2017, p. 34).
Insomma, il rosario non è una preghiera come le altre. Ciò è evidente anche dal fatto che ad essa sono attribuiti numerosi eventi miracolosi (o almeno presentati come tali). La vittoria dei cattolici contro gli albigesi a Muret, avvenuta il 12 settembre 1213, fu dovuta, secondo la retorica rosariana, al fatto che, prima della battaglia, l’esercito cattolico passò la notte a pregare il rosario. Anche la vittoria della Lega cristiana sulle flotte musulmane, conseguita durante la battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, è attribuita al fatto che don Giovanni d’Austria, a capo dello schieramento cristiano, distribuì una corona del rosario a ogni uomo del suo esercito. Non si contano, infine, i miracoli individuali e di gruppo che sarebbero derivati dalla sua recitazione.
Un’altra importante caratteristica del rosario, che concorre a formare quella che è generalmente definita come la “pia tradizione”, è che, per dirla con le parole di Luigi Maria Grignion de Monfort, «nella forma e nel metodo in cui è recitato attualmente, [il rosario] fu ispirato alla Chiesa e suggerito dalla Vergine a san Domenico per convertire gli Albigesi e i peccatori, soltanto nel 1214, […], così come lo riferisce il beato Alano della Rupe nel suo celebre libro De Dignitate psalterii». In altre parole, il rosario sarebbe stato consegnato bello e pronto a san Domenico di Guzman (1170-1221) direttamente dalla Madonna affinché lo predicasse per sconfiggere i nemici della cristianità (all’epoca gli albigesi). Come riferisce padre Reginald Garrigou-Lagrange (1877-1964), teologo domenicano, «la Santa Vergine fece conoscere a san Domenico un modo di predicazione fino allora sconosciuto, che essa gli affermò essere per l’avvenire una delle armi più potenti contro l’errore e l’avversità» (Calloway, 2017, p. 29).
La “pia tradizione” è ancora oggi creduta da milioni di fedeli in tutto il mondo e rappresenta una delle “leggende” più care alla cristianità nel suo complesso. Essa «ha sempre trovato il consenso e l’appoggio dell’autorità di molti Sommi Pontefici e di innumerevoli santi» (Giulietti, 2013, p. 12). Qual è, però, il suo fondamento? La trasmissione divina del rosario a san Domenico trova riscontro nella realtà dei fatti?
Nel 1912, il gesuita inglese Herbert Thurston S. J. (1856-1939) scrive la voce “Rosario” per la Catholic Encyclopedia, suscitando un vespaio di polemiche per aver “osato” affrontare la questione della storia della preghiera non secondo i tradizionali canoni devoti e agiografici, ma secondo il metodo storico-critico. In poche pagine, il gesuita riduce la “pia tradizione” a mito, esaminando scetticamente i suoi presupposti e giungendo a conclusioni basate solo su quanto riferito da fonti storiche precise. Thurston osserva che, semplicemente, mancano prove documentali che permettano di attestare con certezza che san Domenico sia l’inventore del rosario. Inoltre, altri fattori contribuiscono a mettere in dubbio la “pia tradizione”:
In sintesi, siamo in possesso di testimonianze certe in base alle quali sia l’invenzione del rosario come strumento per tenere il conto delle preghiere sia l’abitudine di ripetere 150 volte l’Ave Maria non possono essere attribuite a san Domenico, perché risalgono entrambe a molto prima del tempo in cui visse. Inoltre, sappiamo con sicurezza che la meditazione sui misteri non fu introdotta se non 200 anni dopo la sua morte. Dobbiamo dunque chiederci: che cosa rimane, a questo punto, di ciò di cui san Domenico dovrebbe essere l’autore?.
Da vero iconoclasta, da sfrontato “avvocato del diavolo”, Thurston riconduce il rosario a una storia terrena, complessa, naturale, in cui le ordinarie preoccupazioni di ordinari uomini di fede spiegano l’evoluzione di una preghiera umana nel contesto socio-storico dell’occidente medievale.
Del resto, Thurston è noto per il suo atteggiamento profondamente critico nei confronti delle pretese miracolistiche e agiografiche della religione. Più volte sminuì le biografie dei santi, etichettando alcuni come isterici, altri come nevrotici o masochisti. Sostenne che le stigmate di padre Pio fossero una frode. Credeva che molti fenomeni mistici fossero riconducibili a cause naturali e si prese gioco di statue sanguinanti e apparizioni mariane. Nel suo libro The Physical Phenomena of Mysticism, tradotto anche in italiano (1956), si occupò di fenomeni quali la telecinesi, l’incendium amoris, le salamandre umane, l’odore di santità e i prodigi di sangue, sempre da un punto di vista scettico, tanto da anticipare molte conclusioni a cui sono pervenuti diversi debunkers contemporanei.
Insomma, la traduzione della voce “Rosario” di Herbert Thurston, tratto dalla Catholic Encyclopedia, che qui propongo nella mia versione insieme alla traduzione di altre due voci “Festa del santo rosario” e “Confraternita del santo rosario”, rappresenta una straordinaria occasione di esaminare da un punto di vista critico e umano un oggetto culturale che siamo abituati a interpretare secondo categorie agiografiche e misticheggianti. Ne deriva una lettura diversa e affascinante, osteggiata dai sostenitori della “pia tradizione”, ma che ha trovato conferma anche nelle ricerche della storiografia contemporanea. Un esercizio acuto di intelligenza critica che, a distanza di oltre cento anni dalla sua pubblicazione, conserva per noi tutto il suo stimolo.
Fonti
Alano della Rupe, Il salterio di Gesù e di Maria: genesi, storia e rivelazioni del ss. Rosario,
Calloway, D. H., 2017, Campioni del rosario. Eroi e storia di un’arma spirituale, D’Ettoris Editori, Crotone.
Giulietti, E., 2013, Storia del Rosario, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI).
Luigi Maria Grignion de Monfort, Il segreto ammirabile del Santo Rosario, per convertirsi e per salvarsi
Thurston, H., Shipman, A., 1912, “The Rosary”, The Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company, New York.
Thurston, H., 1956, Fenomeni fisici del misticismo, Edizioni Paoline, Alba (Cuneo).
Winston-Allen, A., 2005, Stories of the Rose: The Making of the Rosary in the Middle Ages, Pennsylvania State Univ Press.