Ancora oggi si ritiene che le olimpiadi moderne – quelle “resuscitate” da Pierre de Coubertin – posseggano forti elementi di continuità rispetto a quelle antiche per cui, se si escludono gli aspetti meramente tecnologici introdotti dalla contemporaneità, lo “spirito” degli atleti sarebbe sostanzialmente il medesimo. Questo mito, che ricorre spesso nella retorica di opinionisti e giornalisti, anche in chiave romantico-nostalgica (“Dobbiamo recuperare lo spirito di un tempo”), è da sfatare, come osservano diversi studiosi dello sport nell’antichità. La sociologa Raffaella Ferrero Camoletto (Oltre il limite, Il Mulino, pp. 17-17), ad esempio, riporta alcune differenze sostanziali tra giochi antichi e moderni. Si pensi alle gare descritte da Omero:
Innanzitutto, molti giochi rappresentati nell’Iliade sono occasionali, ovvero legati ad altri eventi di cui costituiscono una componente coreografica aggiuntiva. In secondo luogo, tali giochi coinvolgono solamente una ristretta cerchia di individui, ovvero i rampolli delle famiglie aristocratiche e i guerrieri. Terzo, la competizione è violenta e spietata, senza il minimo rispetto di quel codice di lealtà – l’idea di fair play – che oggi ci sembra connaturato all’idea di sport. Infine, il risultato della prova sportiva viene fatto dipendere dal benvolere degli dei e quindi dall’intervento di forze superiori estranee alla capacità dei contendenti, all’interno di una civiltà in cui il sacro permea profondamente la vita quotidiana degli uomini e ne determina il destino.
Per quanto possa sembrarci strano, dunque, l’idea di fair play è una invenzione moderna che un greco antico non avrebbe mai condiviso. Inoltre, il riferimento alla volontà divina era centrale nel passato ed è oggi totalmente scomparsa (se si escludono i segni della croce, gli sguardi rivolti in alto o le occasionali reverenze religiose di qualche protagonista del calcio contemporaneo).
Le vittorie riportate nei giochi olimpici, continua Ferrero Camoletto, «avevano un forte valore simbolico per le poleis, ed erano salutate come segni del favore degli dei e della buona sorte della città, nonché considerate come indicatori del prestigio e del potere, economico e politico, della città stessa».
Un aspetto, però, sorprende più di tutti:
Nel corso delle gare, comportamenti che oggi qualificheremmo come irregolarità e scorrettezze erano all’ordine del giorno: spintoni, sgambetti, lancio di sabbia negli occhi dell’avversario; ma anche più semplicemente l’utilizzo di ausili per migliorare la propria prestazione, come l’uso di pesi da far oscillare con le mani per aumentare lo slancio nel salto in lungo o di una correggia di gomma con cui spingere con più forza e dare maggiore stabilità alla traiettoria del giavellotto. Inoltre, si prestava attenzione non tanto alla quantificazione della prestazione (ad esempio, la misurazione del tempo o della distanza percorsa), quanto piuttosto alla durezza della gara e al numero di vittorie conseguite da un atleta: si pensi ad esempio al fatto che i combattimenti, nel pugilato così come nella lotta o nel pancrazio, potevano durare anche giornate intere, in quanto non prevedevano riprese o interruzioni e terminavano solamente quando uno dei due contendenti si ritirava o cadeva a terra esausto.
Il quadro che ricaviamo da queste parole è sconcertante: gli antichi non solo non conoscevano la nozione di fair play, ma si abbandonavano spesso a scorrettezze di ogni genere pur di vincere e, se vincevano, ritenevano che le loro scorrettezze fossero state accolte con favore dagli dei.
Per quanto ci piaccia pensare che “un tempo le cose andavano meglio”, è vero esattamente il contrario. Dovremmo sorprenderci del fatto che, nonostante viviamo in una società centrata sulla mediazione ossessiva del denaro, il fair play è una “virtù” squisitamente contemporanea, negli sport c’è meno violenza di un tempo (sì, avete capito bene!) e ogni sport è molto più regolato e disciplinato del passato. Anche se, periodicamente, si lanciano grida di allarme contro la barbarie nello sport e nostalgici rimpianti del sacro passato.