Covid-19 ha favorito l’introduzione nel corpo sociale di nuove forme di sorveglianza tecnologica (tracker, app, termometri da remoto ecc.) a cui siamo stati costretti ad abituarci repentinamente, ma che rischiano, per inerzia, di installarsi definitivamente nelle nostre esistenze come dispostivi “normali” di controllo.
Il verbo della sorveglianza è diventato talmente capillare da essere interiorizzato rapidamente da tutti noi e da essere avvertito come “ovvio”, “scontato”. Questa forma di sorveglianza interiorizzata ha avuto, e ha, effetti evidenti sul nostro comportamento, come sottolinea il sociologo David Lyon, nel recente Gli occhi del virus. Pandemia e sorveglianza (Luiss University Press, Roma, 2022):
[…] noi, oggetti della sorveglianza, ne siamo anche i soggetti. Mentre le app, le telecamere, i dispositivi indossabili ci “osservano”, anche noi ci guardiamo furtivamente gli uni con gli altri, controllando se indossiamo la mascherina, se manteniamo la distanza di sicurezza sui marciapiedi, se i vicini si stiano vedendo con qualcuno che non appartiene al loro nucleo familiare. Inoltre, il modo in cui siamo classificati – “asintomatico”, “vaccinato”, “esposto a un caso positivo” – potrebbe influire sul modo in cui consideriamo noi stessi e vediamo, valutiamo e interagiamo con gli altri, perfino su come giudichiamo il nostro rapporto con loro. La ragione è che oggi elaboriamo nuove culture della sorveglianza, per cui si genere un “effetto loop” tra le classificazioni e le persone classificate. Queste ultime non sono classificano gli altri, ma possono modificare le loro attività a fronte della propria classificazione in termini di sorveglianza (Lyon, 2022, p. 19).
In questo modo, Big Brother non ha bisogno di essere rappresentato da un dispositivo o da un occhio elettronico. Esso penetra nei nostri occhi e li abitua a categorizzare il mondo in modi mai visti prima, che designano comportamenti un tempo considerati normali come sospetti, se non pericolosi.
Così, indossare la mascherina, fino a poco fa considerato condotta discutibile e losca, appare oggi come perfettamente normale, anzi raccomandabile, se non dovuta. Toccare uno sconosciuto per caso, prima una circostanza al più seccante, suscita ora apprensione, se non paura, perché non sappiamo chi è la persona in cui ci siamo imbattuti. Incrociare uno sconosciuto può generare nell’altro gesti di protezione o evitamento che possono farci sentire respinti o indesiderati. Una mascherina abbassata può indurre in noi frettolosi giudizi di riprovazione che trascendono facilmente in giudizi sulla personalità complessiva dell’altro. E così via.
La nuova cultura della sorveglianza porta con sé un eccesso di categorizzazioni e di sospetti che tracimano nella paranoia e nella diffidenza.
L’interiorizzazione di tali categorie interpretative del sospetto è ormai divenuto fatto normale. Quanto tempo ci vorrà affinché siano rimosse dal corpo sociale?