Hester, S., Eglin, P.
(a cura di Enrico Caniglia e Cirus Rinaldi, traduzione di Romolo Giovanni Capuano)
Sociologia del crimine. Le prospettive costruzioniste
PM Edizioni, Varazze (SV),
pp. 532, 2022
Questo libro è un classico della letteratura socio-criminologica di stampo costruzionista. Attraverso esempi e analisi dettagliate, esso mostra come il crimine sia il prodotto di processi di criminalizzazione costituiti attraverso l’interazione sociale e la prassi linguistica. Questa nuova edizione da me tradotta per la prima volta in lingua italiana permette un approccio critico ampliando le applicazioni ad ambiti come il genere, la razza e la classe sociale. Corredato di utili sezioni che comprendono domande di verifica, esercizi, esempi applicati al contesto globale e ulteriori riferimenti bibliografici, il volume si configura come uno dei testi più aggiornati per lo studio del crimine e della devianza. Arricchito da schede di approfondimento e illustrato da una scrittura intrigante, a tratti informale, il volume si offre come una guida affascinante per chi voglia avventurarsi nelle nuove prospettive di analisi sui sempre più incerti confini tra devianza e normalità.
Dal primo capitolo:
L’idea fondamentale che pervade l’approccio da noi adottato in questo testo nei confronti della sociologia e del crimine è che i membri della società sono sociologi per il semplice fatto di essere membri della società. Per dirla in altre parole, fare sociologia è parte dell’essere membri della società. Possiamo dire che i membri della società fanno ricerca sociologica nel momento stesso in cui svolgono le loro faccende quotidiane e come condizione del loro agire competente. Si fa ricerca sociologica ogni volta che si sceglie come vestirsi la mattina, ci si dirige a scuola o al lavoro in automobile o a piedi, si parla o si manda un messaggio a un amico per telefono, si organizzano le attività del giorno, si chiacchiera con i compagni di classe o con i colleghi di lavoro, si conversa con i genitori a pranzo e così via). Non siate sconcertati. Siamo abituati a ritenere che la sociologia sia solo il nome di una scienza sociale, una disciplina, insegnata a scuola, al college e all’università nell’ambito di corsi di studio formali, una materia da apprendere dagli insegnanti in classe o online, da manuali e articoli di riviste o da altri testi di studio scritti da specialisti, di solito professori, e acquisendo e adoperando metodi di ricerca specialistici. D’accordo. Chiamiamola “sociologia professionale” realizzata da “sociologi professionisti” come gli autori di questo libro. Ma, seguendo le idee del sociologo professionista Harold Garfinkel, potremmo parlare di “metodi di ricerca sociologica dei membri della società”). Che cosa significa?
La vita ordinaria, quotidiana che viviamo con e tra gli altri ha un carattere non solo “sociale”, ma fondamentalmente sociologico. In altre parole, la sociologia non è semplicemente il nome dell’apparato concettuale e metodologico specializzato che i professionisti di una disciplina accademica di nome sociologia adoperano per analizzare la vita sociale, ma un insieme di pratiche che tutti i membri della società utilizzano come condizione della vita quotidiana che essi vivono. «Lo studio della conoscenza di senso comune e delle attività di senso comune consiste nel considerare fenomeni problematici i metodi grazie ai quali i membri della società, che fanno sociologia profana o professionale, rendono osservabile le strutture sociali delle attività quotidiane» (Garfinkel). Con “vita quotidiana” o “attività quotidiane” si intende tutta la vita sociale vissuta sotto l’egida di ciò che i fenomenologi definiscono “atteggiamento naturale” o “atteggiamento della vita quotidiana”, indipendentemente dal fatto che i contesti siano quotidiani o specializzati. Inoltre, la sociologia professionale è sorretta dalla sociologia profana.
Questo approccio sottende la tesi che, lungi dall’essere prive degli schemi teorici formali che spiegano l’azione sociale, propri della sociologia professionale, le azioni degli individui possono essere routinariamente viste come intellegibili nei termini delle circostanze pratiche in cui hanno luogo. Inoltre, nella misura in cui «il linguaggio è inteso come azione pratica» (Lynch), «sulla scia di Wittgenstein, gli usi concreti degli individui sono usi razionali in un dato “gioco linguistico”. A quale gioco giocano?» (Garfinkel). Garfinkel avrebbe potuto chiedersi anche: «Che gioco è?» perché «un gioco linguistico è qualsiasi ordine di attività umane entro cui è incassato l’uso del linguaggio». Di conseguenza nessun gioco linguistico costituisce «una “proprietà” individuale» (Coulter).