Una frase attribuita alla celebre antropologa americana Margaret Mead – ma secondo qualcuno potrebbe essere stata pronunciata da un giornalista di nome Jim Wright – recita: “Always Remember That You Are Absolutely Unique. Just Like Everyone Else” vale a dire: “Ricorda sempre che sei assolutamente unico. Proprio come tutti gli altri”.
Indipendentemente da chi abbia pronunciato questa frase, mi sembra che essa catturi in poche parole l’essenza delle scienze sociali. È vero. Ognuno di noi è unico, speciale, irripetibile. E ci piace pensare che siamo così. Lo ripetono praticamente tutti i libri di self-help e tutti gli psicoterapeuti in cui ci imbattiamo nella nostra vita. “Tu sei unico/unica!”. “Nessuno/Nessuna è come te!”. E questo dovrebbe farci sentire bene, perché in un’epoca storica come la nostra fondata sull’esaltazione dell’individuo, tutti noi amiamo sentirci parte di questo peculiare zeitgeist. Se ci pensate, tutta la pubblicità, tutte le filosofie, tutta la politica contemporanea insistono su quanto siamo unici e quindi su come dovremmo scegliere quel prodotto per essere unici, pensare in un certo modo per non essere assorbiti dalla massa, votare per un certo partito perché è nuovo, alternativo e diverso dagli altri. Alternativo, nuovo, unico: tre parole d’ordine del nostro tempo. A nessuno fa piacere sentirsi massa, una pecora del gregge, come gli altri. Ma questa unicità, specialità, irripetibilità è sempre l’esito emergente dell’incrocio di variabili sociologiche, antropologiche, storiche, psicologiche date. In un certo senso, secondo la sociologia e le altre scienze sociali, perfino la nostra unicità è socialmente, antropologicamente e psicologicamente determinata. L’esaltazione dell’individuo è un fatto sociale, così come, in altre epoche, essere uguale agli altri era il principio a cui uniformare la propria vita.
Amiamo pensarci unici e irripetibili. Amiamo essere diversi, unici e alternativi perché la nostra epoca ci “dice” di farlo. La sociologia ci dice che questa unicità è determinata e ciò può non farci piacere. Ma penso che questo sia un merito della sociologia: rimuovere il velo di Maya che avvolge le nostre vite. E rivelarci cose che possono non farci piacere.