Nel mio libro Bizzarre illusioni, dedicato alla pareidolia, l’illusione percettiva che porta a interpretare uno stimolo vago o confuso in maniera chiara e riconoscibile, parlo della pareidolia mantica, cioè di quelle forme di divinazione che consistono nell’interpretare forme ambigue per trarre indicazioni sul futuro di una persona. Tipico esempio è la caffeomanzia, la lettura dei fondi di caffè, eseguita a scopo divinatorio, secondo varie modalità. Ultimamente ho letto un curioso libro di Cesare De Vesme, Ordalie, roghi e torture, in cui, incidentalmente si fa riferimento a una forma particolare di mantica per scoprire ladri o assassini. Il nome “pareidolia” non viene mai impiegato da De Vesme, che anzi è piuttosto incline ad avvalorare le spiegazioni soprannaturali, ma le sue parole si prestano irresistibilmente a un’interpretazione pareidolica:
La visione nell’acqua viene usata in Polinesia per la ricerca dei ladri. Il prete indigeno chiamato dalle persone presso le quali è avvenuto il furto, fa un buco nel pavimento, lo riempie d’acqua e, tenendo in mano un giovane banano, invoca il dio. In seguito guarda fissamente la superficie dell’acqua, finché gli appare la figura del ladro. Allora lo nomina e lo descrive. Naturalmente, l’immagine scorta dallo stregone non è visibile che per lui; si tratta di un fenomeno puramente soggettivo.
Notate come lo stesso De Vesme riconosca la soggettività della divinazione giudiziaria polinesiana: come, cioè, tutto dipenda dal sistema percettivo del prete in questione.
A questo punto, De Vesme descrive il caso, narrato da un certo Jean Dorsenne, di uno stregone di Pulu (Tahiti):
Una taitiana ciarlava con dei grandi gesti; spiegava allo stregone che avvenivano continuamente dei furti nel suo campo di vaniglia e lo supplicava di svelarle i colpevoli. Roo si raccolse alcuni istanti con gli occhi fissi, e la sua respirazione era affannosa. Poi si diresse verso la lampada, ne abbassò il lucignolo, in modo che la penombra sommerse la camera. Fece segno alla donna di avvicinarsi e di guardare attentamente il vetro della lampada. – È Tetitanui, peie! – esclamò con l’accento della più sincera stupefazione. Mi avvicinai a mia volta. Prendo a testimonio il cielo, avevo tutta la mia lucidità e tutto il mio sangue freddo; non avevo bevuto alcuna bevanda, sono certo di non avere avuto un’allucinazione. La sola ipotesi possibile è quella d’una trasmissione di pensiero. Tuttavia quando, a mia volta, rischiai uno sguardo scettico sul vetro dietro il quale vacillava la fiamma, non potei reprimer un grido di sorpresa: come su uno schermo minuscolo, si svilupparono delle figurine d’una nitidezza sorprendente; vedevo un campo di vaniglia con le sue liane attorcigliate attorno ai pali, il chiaro-scuro d’un sottobosco; un individuo che furtivamente scivolava tra gli arbusti e coglieva i baccelli più maturi che gettava in un sacco di tela grigia….
È noto che la suggestione può indurre fenomeni pareidolici come è evidente dalle folle di credenti che scorgono in una nuvola in cielo il volto della Madonna o di un santo. E questa è sicuramente una interpretazione possibile nel caso appena narrato: in altre parole, il protagonista vede nel vetro ciò che il sistema di credenze in cui è immerso “vuole” che lui veda. Altri episodi riguardano l’America e l’Egitto. Nel primo, uno stregone Apache fissa un cristallo di quarzo per scorgere «tutto ciò che gli interessava conoscere». Nel secondo, un erudito poté «denunciare il presunto ladro di un mantello, chiedendo a un bambino ipnotizzato di guardare nell’inchiostro» (De Vesme, C., 1987, Ordalie, roghi e torture, Fratelli Melita Editori, La Spezia, pp. 135-137).
Gli episodi citati da De Vesme – l’ultimo richiama in maniera irresistibile il meccanismo all’opera nel test di Rorschach – testimoniano che gli esseri umani sanno e vogliono usare le proprie illusioni percettive per trarre significati riguardanti il proprio futuro. È come se la vaghezza dell’avvenire fosse compensata e sostanziata dall’ambiguità, disambiguata, delle proprie percezioni. Abbiamo bisogno di fare chiarezza su ciò che ci accadrà e lo facciamo dando un senso alle nostre oscurità percettive. Una compenetrazione affascinante, come affascinante è il mondo della pareidolia. Specie quando si intreccia con quello della criminologia, come dimostrano i casi di pareidolia mantica giudiziaria appena presentati.
Bisognerebbe indagare più a fondo questi meccanismi. Chissà se, ad esempio, i moderni meccanismi di detection del colpevole non debbano qualcosa alla pareidolia: pensiamo alla documentazione videoregistrata relativa a una rapina o un omicidio in cui le immagini, spesso imperfette o insufficienti, devono essere “riempite” dagli investigatori in modo che abbiano senso e conducano alla scoperta dei responsabili. E poi, in genere, scoprire il colpevole non è come farsi strada tra mille ombre pareidoliche?