È di due giorni fa la notizia che la Cassazione ha stabilito che il termine “omosessuale”, utilizzato da un uomo nei confronti di un altro uomo eterosessuale, da questi denunciato per diffamazione, non è più considerabile “lesivo della reputazione del soggetto passivo e ciò tenendo conto dell’evoluzione della percezione della circostanza da parte della collettività”. Più precisamente, il termine, afferma la sentenza, “non può ritenersi effettivamente offensivo” nemmeno se pronunciato o scritto con “intento denigratorio”. Il presunto diffamatore perciò è stato assolto perché il fatto non sussiste.
Non sono d’accordo con questa interpretazione. È vero che il termine “omosessuale” è oggi definibile neutro e che indica semplicemente un orientamento sessuale. Ritengo, però, con Wittgenstein, che il significato di una parola sia dato dal suo uso e che sia possibile usare termini neutri a scopi offensivi. Si pensi, ad esempio, a termini come “Down” per indicare una persona con sindrome di Down. Per quanto l’espressione “persona con sindrome di Down” sia di per sé assolutamente neutra, essendo stata coniata per indicare una condizione, è indubbio che essa, abbreviata di solito in “down”, sia utilizzata, tra ragazzi soprattutto, a scopo offensivo. Lo stesso vale per termini come “handicappato”, “disabili”, “cerebroleso” e così via. Allo stesso modo, il termine “omosessuale” può essere adoperato a scopo offensivo se chi enuncia la parola intende usarla in questo modo. Ritengo, in altre parole, che ai giudici della Cassazione sia mancata una prospettiva pragmatica, da un punto di vista linguistico, nella pronuncia della loro sentenza: una prospettiva che è invece ben presente a chi usa “omosessuale” per offendere.
Il turpiloquio sa essere estremamente creativo: sa impadronirsi di una parola del tutto neutra per farne una temibile offesa, aggrappandosi a pregiudizi e stereotipi radicati. Per quanto non sia un apologeta del reato di diffamazione e auspichi una normalizzazione di ogni orientamento sessuale rispettoso delle persone (nel senso di John Stuart Mill), credo che la giurisprudenza debba riconsiderare la sua posizione su termini come “omosessuale”. C’è il rischio di giustificare parole connotabili negativamente con il pretesto che la denotazione non è più negativa.