Oscar Wilde ne era convinto: tutte le cose belle della vita sono immorali, illegali o soggette a pesante tassazione. Per Frank Zappa, senza deviazioni dalla norma, non è possibile il progresso. Per La Rochefoucauld, infine, gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non si ingannassero reciprocamente. Insomma, non è affatto detto che il vizio, ciò che devia dalla norma, l’elemento criminale o il male siano sempre disfunzionali, negativi, nocivi. In alcuni casi, generano sorprendenti funzioni positive. Ne era convinto anche San Tommaso d’Aquino, il quale, nel capitolo 142 del suo Compendio di teologia, spiega come la presenza del male nel mondo non contraddice affatto la bontà divina, anzi permette a molti beni di esistere ed è dunque misteriosamente necessaria.
Leggiamo l’intero capitolo intitolato La permissione del male non deroga alla bontà divina
Non ripugna tuttavia alla bontà divina il fatto che Dio permetta dei mali nelle cose che sono da Lui governate. Prima di tutto perché è proprio della provvidenza non lasciar perire la natura delle cose governate, ma salvarla. Ora, la perfezione dell’universo richiede che vi siano cose nelle quali non può accadere alcun male e altre, invece, alle quali secondo la loro natura può accadere qualcosa di difettoso. Se quindi dalla provvidenza divina fosse totalmente escluso il male dalle cose, le cose non sarebbero governate secondo la loro natura, e questo sarebbe un male peggiore che se fossero tolti i difetti particolari. In secondo luogo perché il bene di una cosa non può talvolta realizzarsi senza il male di un’altra, come vediamo che la generazione di una cosa non avviene senza la corruzione di un’altra, e il nutrimento del leone non avviene senza l’uccisione di qualche animale, e non ci sarebbe la pazienza del giusto senza la persecuzione dell’ingiusto. Se quindi si togliesse totalmente il male dalle cose ne seguirebbe che verrebbero tolti anche molti beni. Non appartiene quindi alla divina provvidenza togliere totalmente i mali, ma fare in modo che i mali che avvengono siano ordinati a un qualche bene. In terzo luogo perché dal confronto con i mali particolari risultano più apprezzabili i beni, come ad es. dall’oscurità del nero risulta più splendente la chiarezza del bianco. E così dal fatto che sono permessi i mali nel mondo la divina bontà è maggiormente testimoniata nei beni, e la stessa sapienza risplende nell’ordinamento dei mali ai beni (San Tommaso d’Aquino, 2010, Compendio di teologia e altri scritti, UTET, Torino, p. 172).
Nella convinzione che “il bene di una cosa non può talvolta realizzarsi senza il male di un’altra” ho scritto qualche anno fa un libro intitolato Verso una criminologia enantiodromica. Il termine “enantiodromia” designa il capovolgersi delle cose nel loro contrario ed è collegato al filosofo greco Eraclito, uno dei filosofi più enigmatici del periodo presocratico. La criminologia enantiodromica parte dall’assunto che da comportamenti criminali o devianti possano scaturire conseguenze positive tanto per gli individui quanto per la società, nel suo complesso o in parte. Da essa origina un quadro ironico, complesso, cinico, non lineare della società in cui a comportamenti devianti corrispondono effetti paradossalmente apprezzabili.
Se siete curiosi e volete saperne di più, non posso che consigliarvi Verso una criminologia enantiodromica (Aracne Editrice, 2015). Sicuramente non una lettura come le altre. Nel bene e nel male.