Nel racconto di Shirley Jackson (1916-1965), La lotteria (1949), viene raccontata una vicenda che si svolge in un normalissimo paese agricolo di “sole trecento anime” del New England: una lotteria annuale a cui tutti gli abitanti del paese sono chiamati a partecipare e in cui la posta in palio è addirittura la vita. Il prescelto o la prescelta, infatti, hanno il dubbio onore di essere lapidati a morte nella riedizione infinita di un sacrificio cruento il cui scopo è di consentire al paese di poter contare su messi floride per l’anno a venire. Così l’eliminazione di un membro della comunità serve alla sopravvivenza della stessa, un po’ come le centinaia di vittime sacrificate dagli aztechi servivano a mantenere stabile e in vita il loro mondo.
L’intuizione di Jackson si è tradotta recentemente in alcuni film di successo. Ne La notte del giudizio (The Purge) di James DeMonaco (2013), una società fittizia basa il proprio benessere sull’istituzione di un giorno speciale in cui tutti possono abbandonarsi impunemente a qualsiasi delitto. In The Wicker Man di Robin Hardy (1973), un omicidio rituale preserva una comunità da guai peggiori. Il tema del capro espiatorio, cioè dell’assassinio/sterminio gratuito di un individuo/gruppo sociale innocente per restituire armonia e solidarietà a una comunità in crisi, è uno dei temi principali di quella che ho definito “criminologia enantiodromica”, una criminologia, cioè, che contempla “la possibilità che da comportamenti criminali o devianti scaturiscano conseguenze positive tanto per gli individui quanto per la società”. Si tratta di una criminologia “perversa”, paradossale, che sfida il senso comune perché ci dice addirittura che un atto criminale può fare bene, anziché male, alla società. Di esempi ne ho raccontati tanti nel mio libro Verso una criminologia enantiodromica, recentemente pubblicato da Aracne. Mi sembra che La lotteria di Jackson rappresenti una metafora molto efficace di una società enantiodromica e, per quanto sia classificato tra la letteratura horror, ci comunica l’idea che anche le nostre società iper-razionali possano cedere a meccanismi espiatori. Un esempio? L’intensità con cui commentiamo delitti particolarmente efferati e invochiamo per i loro autori le pene più atroci. O, la foga con cui ci rivolgiamo a bersagli come gli immigrati clandestini e gli arabi di fede musulmana, ormai additati a cause di ogni male della nostra civiltà globalizzata. In conclusione, viviamo ancora in una società come quella descritta da Shirley Jackson. Solo facciamo finta che non sia vero.