Da parecchi secoli la Chiesa di rito latino prevede, durante il Venerdì Santo, la recita di nove preghiere “speciali” per varie categorie di persone tra cui gli eretici, gli scismatici, i pagani e gli ebrei. Ognuna di queste preghiere esordisce con un’esortazione alla preghiera, seguita da un invito a inginocchiarsi e da una preghiera individuale in silenzio, dopo la quale ci si rialza e si pronuncia la preghiera vera e propria.
Tra le nove preghiere, quella più celebre, se non altro per le polemiche che ancora oggi suscita, è quella dedicata agli ebrei che, nel messale romano del 1570, era così formulata.
Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Per eumdem Dominum.
Amen.
Una traduzione possibile è la seguente:
Preghiamo anche per i perfidi Ebrei, affinché il Signore e Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi riconoscano il Signore nostro Gesù Cristo.
Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure la perfidia degli ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre. Per il nostro Signore.
Amen
È facile capire perché una formulazione del genere, tradotta dal latino, susciti tante polemiche. Il motivo della discordia è la traduzione dei termini perfidis e perfidiam. La parola perfidus, in latino, ha più significati. Come in italiano (e in tutte le lingue neolatine), può indicare una persona “malvagia”, “cattiva”, “perfida”, appunto. D’altra parte, può voler dire “infido”, “traditore”, “che non rispetta i patti”. Originariamente, invece, indicava chi era “infedele”, “incredulo”, “miscredente”, “non credente”. E in effetti se si prova a dire: “Preghiamo anche per gli Ebrei che non credono”, la frase acquista un tono meno sprezzante e più tollerabile. O almeno così la pensava il pontefice Pio XII (1876-1958) il quale affermò esplicitamente che, essendo questo il significato più appropriato del termine, esso doveva restare nella orazione.
In realtà, la preghiera per gli ebrei ha avuto nel corso dei secoli numerose modifiche. Se nel nono secolo venne prescritto che, solo per gli ebrei, non si dovesse fare la genuflessione e la preghiera in silenzio (altro motivo di polemica: sarà proprio Pio XII a ripristinare l’una e l’altra), la maggior parte dei ritocchi riguarderà proprio i termini perfidis e perfidiam e altre formulazioni contenute nel testo. Ad esempio, Giovanni XXIII (1881-1963), contraddicendo Pio XII, fece rimuovere il doppio riferimento agli ebrei perfidi, lasciando invariato il testo e aggiungendo il titolo Pro Conversione Judaeorum. Anche Paolo VI (1897-1978) modificò il titolo in Pro Judaeis. Altri cambiamenti si ebbero nel 1970, nel 1983, nel 2007, con Benedetto XVI (1927-), e nel 2008. L’ultima versione è attualmente la seguente:
Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché Dio nostro Signore illumini i loro cuori e riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini.
O Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini siano salvati e pervengano alla conoscenza della verità, concedi benigno che, entrando la pienezza delle genti nella Tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Come si vede, il tono dei riferimenti agli ebrei è più attenuato, anche se permane l’invocazione affinché “riconoscano Gesù Cristo” e quindi accettino l’unica verità possibile per i cristiani. La preghiera è lungi dall’essere accogliente e rispettosa delle diversità religiose, ma almeno elimina definitivamente l’accusa di perfidia che tante polemiche aveva suscitato.
Nel 1948 una decisione della Sacra Congregazione dei Riti aveva dichiarato che nelle traduzioni moderne le espressioni che significavano “infedeltà e infedeli in materia di fede non sono da condannare”, autorizzando, di conseguenza, la traduzione di perfidus con un termine diverso da “perfido”. Manifestamente l’evoluzione semantica del termine nella contemporaneità – decisamente negativa – è prevalsa sulla dichiarazione della Sacra Congregazione dei Riti e quindi sugli altri traducenti che la storia ci ha tramandato.
Evidentemente, le traduzioni non possono essere imposte con un decreto! Chissà! Se perfidus avesse avuto una evoluzione diversa, forse oggi sarebbe rimasto nella preghiera per gli ebrei.
Fonti:
De Fontette F., 1995, Sociologia dell’antisemitismo, ESI, Napoli, pp. 82-83.
Nicolotti A., “Perfidia iudaica. Le tormentate vicende di un’orazione liturgica prima e dopo Erik Peterson”, in Caronello G. (a cura di), 2012, Erik Peterson. La presenza teologica di un outsider, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, pp. 477–514.
“Oremus et pro perfidis Judaeis”, Wikipedia.