Si chiama etnocentrismo la tendenza a valutare gli altri in base ai propri valori, assunti come metro assoluto di giudizio. A causa dell’etnocentrismo, tutto ciò che si discosta da norme, valori, comportamenti e tradizioni del proprio gruppo viene avvertito come “strano”, “bizzarro” e “infimo”, se non “sporco”. Lo dimostrano i nomi che sono affibbiati da un popolo ai popoli vicini, ritenuti altri e quindi “inferiori”. È nota l’abitudine degli antichi greci di chiamare gli altri popoli “barbari”, cioè “balbuzienti”. Anche il termine “ottentotti”, per indicare certe popolazioni dell’Africa, significa etimologicamente “balbuzienti”, e deriva da una parola olandese usata dai colonizzatori per indicare popolazioni africane che producevano, a loro dire, suoni sciocchi. Come dire: “Non capisco la tua lingua, quindi questa è inferiore e bizzarra”. Del resto, è comune sentire a commento di un discorso pronunciato da uno straniero, di cui non si comprende la lingua, frasi come: “Ma sta bestemmiando?”. A proposito. Al posto di “ottentotti” sono oggi preferibili termini come “khoikhoi” o “nama”.
La lingua, però, non è l’unico aspetto dell’altro a essere vilificato.
Gli algonchini affibbiano ai vicini ostili il nome di “eschimesi”, che significa “mangiatori di carne cruda”, riservando a sé quello di “inuit”, cioè “uomini”. Noi continuiamo a chiamare eschimesi quelle popolazioni pensando di usare in maniera puramente descrittiva un termine che, invece, è intrinsecamente negativo e, come tale, rifiutato dagli inuit. “Sloveni” e “slavi” significano, etimologicamente, “schiavi”.
L’atteggiamento etnocentrico più emblematico, però, è quello dei Bribri. I Bribri, ci dicono Barbujani e Cheli nel loro libro Sono razzista, ma sto cercando di smettere, «sono gente che vive lungo i fiumi del Costa Rica, non sono molto pittoreschi, non girano seminudi e armati di lancia, portano i jeans, ma hanno una loro lingua e un loro insieme di tradizioni. E, tradizionalmente, secondo loro esistono due razze; i Bribri e gli Ña. Bribri vuol dire “uomini” e sono loro, Ña , è facile intuirlo, sono tutti gli altri, e stanno ai Bribri come i barbari stanno ai Greci; Ña vuol dire anche “cacca”».
Già. Gli altri, quando non proviamo a capirli, quando non parliamo la loro lingua, quando non entriamo in relazione con loro, sono cacca. Ecco perché provare a capire è importante e perché imparare altre lingue è vitale. Non perché così siamo più “attrezzati” sul mercato del lavoro, come ci viene ripetuto ipnoticamente dai rappresentanti di una società che giudica tutto in base a criteri utilitaristici. Ma perché gli altri non ci appaiano più come contenitori di escrementi, bensì come esseri umani uguali a noi e di pari dignità.
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