Nella seconda metà del XIX secolo, il neonato Stato italiano si trovò alle prese con il problema di imporre agli italiani l’obbligo di frequentare la scuola. In quel periodo, come è noto, l’analfabetismo era dilagante e pandemico e l’imposizione della frequenza scolastica era percepita come l’equivalente dell’imposizione di una tassa da parte di famiglie contadine che vedevano nella coltivazione della terra l’unico destino possibile e, quindi, la scuola come un ostacolo al compimento di tale destino.
Tra gli avversari dell’istruzione obbligatoria era anche la Chiesa cattolica, la quale vedeva nella famiglia l’unica agenzia deputata all’educazione dei minori, sotto la guida, naturalmente, dell’insegnamento cattolico. L’obbligo scolastico era dunque percepito dalle gerarchie ecclesiastiche come una vera e propria iattura; un male da impedire a ogni costo.
Ecco perché, con una lettera del 3 gennaio 1870, papa Pio IX esortò Vittorio Emanuele II ad «allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata per quanto si dice, relativa alla istruzzione [sic] obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le Scuole cattoliche e soprattutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo. Spero dunque che la M. V. farà sì che in questa parte almeno, la Chiesa sia risparmiata. Faccia quello che può, Maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di Lei» (E. De Fort, 1979, Storia della scuola elementare in Italia. Dall’Unità all’età giolittiana, Feltrinelli, Milano, p. 80).
Oggi un papa che prega un sovrano di impedire l’istruzione dei propri cittadini ci fa sicuramente inorridire. Eppure, in pochi ricordano che la Chiesa rappresentò per lo Stato italiano una enorme pietra di inciampo nel cammino verso la civiltà e la laicità. È per questo motivo che mi piace ricordare la lettera di Pio IX: affinché non dimentichiamo che la laicità è una conquista da difendere a tutti i costi, anche nella “scristianizzata” epoca contemporanea.