I dati sulla criminalità rappresentano il pane quotidiano di criminologi, giornalisti, esperti di vario genere, gente comune. Se si vuole commentare un fatto di cronaca, si citano dati. Se si vuole sostenere una determinata tesi in ambito accademico, si producono statistiche.
Queste cifre servono a informare provvedimenti legislativi, sostenere decisioni governative, fornire un quadro di come vanno le cose in fatto di criminalità nei vari paesi. Non è esagerato dire che, senza statistiche, semplicemente non si potrebbe dire niente di sensato sul crimine e la criminalità.
Tuttavia, le statistiche della criminalità non “parlano da sole” e sono soggette a una serie di limiti e distorsioni che spesso non sono conosciuti dal pubblico, il quale ripone in quei numeri una fiducia quasi cieca.
Il negro criminale, appena uscito per i tipi della casa editrice ligure PM Edizioni, comprende alcuni scritti (da me tradotti) di due colossi della criminologia come Edwin Sutherland e Thorsten Sellin e propone una mia approfondita introduzione sui limiti dei “numeri” in criminologia e su come questi limiti siano attuali oggi come ieri.
In particolare, il testo pubblicato dalla PM intende far riflettere su come, nel passato, le statistiche abbiano creato lo stereotipo del “negro criminale” così come oggi creano lo stereotipo dello “straniero (immigrato) criminale”.
Una lettura attualissima, dunque, per essere consapevoli delle distorsioni quantitative con le quali etichettiamo chi migra verso il ricco Occidente.
Il testo permette, infine, di “gustare” alcuni scritti, finora mai tradotti, di due maestri della criminologia e di vedere, attraverso le loro lenti, come i problemi della criminalità dei migranti possono essere visti in una prospettiva diversa da quella alla quale siamo abituati.