Nel 1992, un gruppo di studiosi – Harris, Milich, Corbitt, Hoover e Brady – pubblica sul Journal of Personality and Social Psychology, un interessante articolo dal titolo “Self-fulfilling effects of stigmatizing information on children’s social interactions“. Gli studiosi abbinano studenti della scuola elementare ad altri bambini sconosciuti con il compito di lavorare al raggiungimento di due obiettivi. Gli sperimentatori fanno credere a metà dei soggetti che i loro partner soffrono di disturbo ipercinetico e che quindi possono manifestare problemi nel portare a termine il gioco. L’altra parte dei soggetti non riceve nessuna informazione. In realtà, a insaputa dei soggetti, metà dei bambini ha davvero ricevuto una diagnosi di disturbo ipercinetico, anche se è stata distribuita equamente in entrambi i gruppi. L’altra metà non ha ricevuto alcuna diagnosi. I risultati rivelano che le aspettative hanno un potente effetto sugli atteggiamenti e sul comportamento dei bambini. Quelli a cui è stato detto che i loro compagni sono ipercinetici incontrano maggiori difficoltà nel compito degli altri bambini a cui non è stato detto nulla. Inoltre, si comportano meno amichevolmente nei loro confronti. Specularmente, i bambini definiti ipercinetici (che lo siano o meno) vivono un’esperienza meno piacevole rispetto ai loro compagni (la descrizione dell’esperimento è tratta da Brown, R., 2010, Psicologia sociale del pregiudizio, Il Mulino, Bologna, pp. 184-185).
Esperimenti come questi denunciano l’esistenza di una “profezia che si autoavvera” nelle interazioni tra disabili e no. Gli studi sociologici hanno ampiamente dimostrato che la disabilità è composta non solo da una componente fisica – la menomazione – ma anche da una componente sociale, fatta di aspettative, credenze, modi di interagire, miti ecc., con cui bisogna fare i conti e che spesso finisce con l’essere altrettanto, se non più, decisiva ai fini della qualità della vita del disabile di quella fisica o medica. Non a caso le associazioni che rappresentano o sostengono i diritti dei disabili affermano da anni che la componente sociale deve essere affrontata con altrettanto impegno che la componente medica. Nel nostro paese, però, tradizionalmente a forte impostazione medica e giuridica, questo viene spesso dimenticato. La verità è che si è disabili non solo per un problema fisico, ma anche per quello che c’è nello sguardo degli altri. Perché gli altri, come insegnava Sartre, possono essere l’inferno.