Solitamente la spiegazione della violenza e della criminalità è affidata a fattori sociali (condizioni economiche, scarsa istruzione, disagi familiari), psicologici (basso quoziente di intelligenza, conflitti intrapsichici, disturbi mentali) o fisiologici (anomalie genetiche, endocrinologiche, disfunzioni di vario genere) o a una combinazione di questi. In un loro articolo, Carpenter e Nevin (David O. Carpenter & Rick Nevin, 2010, “Environmental causes of violence”, Physiology & Behavior, vol. 99, pp. 260–268) chiamano, invece, in causa fattori di natura ecologica, come l’esposizione a sostanze inquinanti, in particolare il piombo contenuto nella benzina delle auto, quale spiegazione del comportamento antisociale. È noto che, in forti dosi, il piombo provoca disturbi come il saturnismo, il quale è responsabile di patologie come l’anemia, deformazioni ossee, danni cerebrali e addirittura la morte. Carpenter e Nevin sostengono che l’esposizione, sin dalla più tenera età, a sostanze tossiche come il piombo provoca danni di vario genere quali difficoltà nell’apprendimento, iperattività, problemi nel controllo degli impulsi, che, a loro volta, possono tradursi nella commissione di crimini violenti in età adulta. Altre sostanze che potrebbero produrre effetti simili sono il mercurio, l’arsenico e il fumo passivo.
Secondo i due autori, l’eliminazione di additivi a base di piombo da vari tipi di combustibile spiegherebbe addirittura il calo nel tassi di criminalità iniziato negli Stati Uniti negli anni Novanta del XX secolo. Sebbene questa ipotesi vada incontro al geist ecologista degli ultimi decenni, essa soffre di tutti i limiti delle spiegazioni monocausali che esemplificano, come affermava il sociologo Frederic Thrasher nel 1949, «la pericolosa abitudine di proiettare le nostre frustrazioni sociali su un tratto specifico della nostra cultura, che viene trasformato in una sorta di capro espiatorio della nostra incapacità di tener conto di tutti i fattori che provocano il declino sociale» (Thrasher, F.M., 1949, “The Comics and Delinquency: Cause or Scapegoat”, Journal of Educational Sociology, vol. 23, n. 4, p. 195).
Le spiegazioni monocausali sono certamente allettanti in quanto riducono la complessità del mondo a una sola causa malefica, responsabile di ogni comportamento antisociale, e invitano, dunque, a far convergere ogni sforzo correzionale verso quella causa. Il mondo, però, non funziona così: più cause contribuiscono, secondo logiche emergenti che variano di volta in volta, a produrre effetti criminali e ogni riduzionismo paga lo scotto di essere semplicemente inefficace a tenere conto di tanta complessità.
Nel caso del piombo, poi, l’ipotesi di una connessione con il crimine è stata messa recentemente in discussione da altre ricerche che hanno escluso «un rapporto causale tra elevate concentrazioni di piombo e comportamenti criminali che si manifestano con l’avanzare dell’età» (Beckley AL, Caspi A, Broadbent J, et al., 2018, “Association of Childhood Blood Lead Levels With Criminal Offending”, JAMA Pediatrics, vol. 172, n. 2, pp. 166–173).
Diffido per principio di ogni spiegazione riduzionistica e monocausale. In primo luogo, perché ogni spiegazione di questo genere è stata smentita o ridicolizzata dalla storia. In secondo luogo, perché è semplicemente ingannevole e inadeguata, anche se risulta seducente.
Sul pericolo delle spiegazioni monocausali, rimando al mio Mancini, mongoloidi e altri mostri. Cinque casi di costruzione sociale della devianza (2014).