Nel capitolo XI delle Avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (1826-1890), il burattinaio Mangiafoco sta per bruciare Pinocchio per cuocere il suo montone allo spiedo, quando questi si mette a urlare e strepitare: «Non voglio morire, non voglio morire!». A queste parole, Mangiafoco si commuove e lascia andare un «sonorissimo starnuto». Al che un altro burattino, Arlecchino, bisbiglia a Pinocchio: «Buone nuove, fratello! Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno che s’è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo».
Il mondo di Pinocchio è un mondo colmo di segni “trasparenti” che basta saper cogliere per attribuire un significato univoco al comportamento dei suoi protagonisti. Sappiamo che Pinocchio mente perché gli si allunga il naso; che Mangiafoco si commuove perché starnutisce; che il Gatto ripete sempre le ultime parole pronunciate dalla Volpe; che la fata ha i capelli turchini. Certo, Le avventure di Pinocchio sono un racconto per bambini e, come ogni storia per l’infanzia, i suoi attori devono essere facilmente riconoscibili e caratterizzabili. Ricordiamo, però, che l’opera fu pubblicata in volume da Collodi nel 1883, cioè in piena epoca lombrosiana. E la criminologia di Cesare Lombroso (1835-1909) – ricordiamo che la sua opera più importante L’uomo delinquente è del 1876 – è una criminologia basata sui segni, in particolare su quelli che rivelano il carattere innato delle tendenze criminali degli individui (conformazioni del cranio, fossette occipitali, cicatrici, nei, tatuaggi, mancinismo ecc.). Sfruttando una facile suggestione ricavata dalla giustapposizione dei due testi, mi viene quasi da avanzare l’idea che la criminologia lombrosiana sia una criminologia “per fanciulli” perché, come le storie per bambini, contempla un mondo in cui i criminali sono facilmente riconoscibili e caratterizzabili (così come, per converso, le persone perbene) e in cui è facile distinguere il bene dal male in virtù di pochi segni rivelatori.
La realtà, tuttavia, è molto diversa e ci propone spesso individui capaci di mentire senza palesare alcuna alterazione fisica e senza sforzo, o di commuoversi senza starnutire né piangere. Fatto sta che, come ai funerali quando ci imbattiamo in persone afflitte che non lo dimostrano, sentiamo che le persone debbano sempre palesare le loro emozioni e ci sentiamo defraudati quando questo non accade. E allora giù critiche sulla ipocrisia degli “afflitti che non lo dimostrano” o sui bugiardi matricolati che non arrossiscono nemmeno un po’ per le loro menzogne. Salvo che, come detto, la realtà è sempre più complessa di quanto ci rivelino la fiction (non solo per bambini) e la criminologia. E, ad esempio, una persona può soffrire tanto in silenzio senza darlo a vedere. Con buona pace di Collodi e Lombroso.