Il rapimento di un bambino è probabilmente uno dei crimini più orrendi per la sensibilità attuale. Sebbene i numeri di tali rapimenti siano spesso “gonfiati” e non raggiungano le cifre “mostruose” che la stampa sensazionalistica ci offre di continuo, notizie del genere suscitano sempre grande scandalo nel pubblico e sono soggette a infiniti commenti da parte di giornalisti, opinionisti ed esperti di vario genere.
Ma perché si rapisce un bambino? Oggi la scomparsa dei minori, come rilevano i periodici rapporti del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, avviene per lo più per allontanamento volontario, per possibili disturbi psicologici, per allontanamento da un istituto o comunità, per sottrazione da coniuge o altro congiunto e solo in minima parte in seguito alla commissione di un reato. L’immaginario televisivo dei più tende a ritenere che, in quest’ultimo caso, i bambini siano uccisi per il traffico di organi, rapiti per essere venduti a organizzazioni internazionali di pedofili o di adozioni illegali, sacrificati da sette sataniche o rapiti da “zingari cattivissimi”, tutte ipotesi per le quali ci sono, di solito, scarsi riscontri.
Tuttavia, come rileva la storica Elizabeth Foyster nel suo “The ‘New World of Children’ Reconsidered: Child Abduction in Late Eighteenth- and Early Nineteenth-Century England”, pubblicato sul Journal of British Studies (2013), le motivazioni dietro il rapimento dei bambini sono cambiate nel corso dei secoli, riflettendo il diverso valore attributo ad essi da parte della società
Ad esempio, nell’Inghilterra del quattordicesimo secolo, ad essere abducted, in maniera consensuale o violenta, erano soprattutto adolescenti o giovani donne per motivi sessuali. Nel diciassettesimo secolo, invece, i rapimenti riguardavano soprattutto situazioni di servitù debitoria o a contratto (indentured servitude) in cui il giovane sottostava a un periodo di servitù volontariamente contratta per ripagare un debito.
Il diciottesimo secolo significò un nuovo modo di considerare i bambini, almeno nelle classi medie. In questo periodo, i bambini vennero “valorizzati” perché consentivano alle donne di acquisire il ruolo socialmente stimato di madri e perché costituivano modelli in miniatura di tutto ciò che una società più ricca poteva consentire, in quanto “consumavano” merci prima rare da trovare per i bambini come abiti su misura, giocattoli, libri ecc.
Divenendo sempre più “preziosi”, i bambini divennero sempre più “appetibili” come “merci” da rubare. Sulla base dello studio accurato di 108 casi di rapimento nella Londra del periodo, Foyster osserva che la maggior parte dei rapimenti riguardava bambini al di sotto dei sei anni e che a rapirli erano solitamente donne tra i 20 e i 30 anni, “desiderose” di mostrare un figlio in società. In altri casi, i bambini erano rapiti per sottrarre loro i vestiti o per essere utilizzati per chiedere l’elemosina o un lavoro.
Foyster nota anche che, all’epoca, i genitori non erano ossessionati dal terrore del pedofilo che oggi, invece, sembra essere il principale timore di padri e madri apprensivi. Alcuni rapimenti avvenivano, anzi, proprio perché i genitori si fidavano eccessivamente degli sconosciuti a cui non attribuivano intenzioni malvage.
Al giorno d’oggi, è corretto affermare che i timori parossistici nei confronti dei bambini testimoniano il valore senza precedenti che l’infanzia ha raggiunto nella nostra società. Per questo motivo, ogni crimine ai loro danni viene severamente stigmatizzato e penalizzato, come mai è accaduto nella storia. Per lo stesso motivo, si tende a sopravvalutare il numero e il tipo di pericoli che minaccerebbero la loro incolumità, con la conseguenza che ogni genitore tende ansiosamente a scorgere intorno a sé minacce un tempo impensabili per i propri figli. Ma queste ansie riflettono più una condizione psicologica che reale, come testimonia il relativamente basso numero di rapimenti criminali di bambini contemporanei compiuti da “adulti cattivissimi”.