Perché la Spagnola, che pure produsse in Italia tra le 350.000 e le 600.000 vittime in poche settimane, non produsse reazioni di panico tra la popolazione paragonabili a quelli dell’attuale pandemia da Covid-19, al punto da essere quasi dimenticata dalla storiografia novecentesca? Secondo Alfani e Melegaro, autori di Pandemie d’Italia (EGEA, 2010), varie sono le possibili cause di questo fenomeno.
In parte, ciò fu dovuto alla censura di guerra imposta dal governo. I quotidiani nazionali, di fatto, dedicarono alla pandemia uno spazio assai minore rispetto a quello che ci si potrebbe attendere. La Spagnola non occupa mai o quasi mai le prime pagine, e compare solo nella cronaca locale […]. Il tono prevalente è rassicurante, e si insiste sulla sostanziale «benignità» della malattia. Chi esprime opinione contraria viene trattato da disfattista e condannato esplicitamente (p. 124).
La censura non riguardava solo la stampa e proibiva tutte quelle pratiche che avrebbero potuto accrescere il timore della popolazione:
qualunque manifestazione di dolore, in pubblico, era vietata per legge. Non si udivano più suonare le campane. Cortei funebri, prediche, corone, gli annunci mortuari che da sempre erano stati affissi sui muri delle città, erano banditi. Proibito era pure chiudere, in segno di lutto, uno dei due battenti del portone di un edificio […]. La popolazione, peraltro, era abituata a ricevere notizie luttuose dal fronte, e quindi in qualche modo più pronta e rassegnata a fare i conti con un accresciuto rischio di morte (p. 125).
A ciò si aggiunge, naturalmente, l’assenza dei media di cui disponiamo nel XXI secolo, la cui diffusione e fruizione capillare avrebbero certamente suscitato reazioni maggiori nella popolazione.
La censura di guerra e l’impegno collettivo a sostegno dello sforzo bellico sono sicuramente due delle cause principali del limitato impatto della Spagnola sulla mente dei contemporanei. L’esortazione a sopportare “eroicamente” il lutto in forma privata e il volgersi dell’attenzione dei più sulla fase conclusiva del conflitto incisero parecchio in tal senso. Secondo Alfani e Melegaro, tuttavia, è possibile citare altre due ragioni. Innanzitutto, la Spagnola, accanendosi sui giovani adulti, giunse a decimare esattamente coloro che già stavano pagando il tributo più elevato alla guerra (p. 129). La sovrapposizione, quasi matematica, di cause di morte diverse schermò, o almeno appannò, la percezione della letalità della Spagnola.
Una seconda ragione, però, sembra essere la volontà «al termine di un conflitto lungo e terribile, di guardare al futuro e non già al passato: passato, in cui la Spagnola si sarebbe quindi trovata subito relegata, come una sorta di spiacevole e ingloriosa appendice alla Grande Guerra» (p. 130). Il complesso delle aspettative delle persone dell’epoca filtrò, dunque, la ricezione dell’evento pandemico, favorendone la rimozione collettiva.
Le reazioni psicologiche alle pandemie, pur riconducibili a tipi più o meno costanti e ricorrenti, non sono le medesime in tutti i tempi. La straordinaria concomitanza di Spagnola e conflitto bellico produsse reazioni forse irripetibili storicamente, che hanno avuto come conseguenza un «lungo oblio e il sostanziale disinteresse da parte della storiografia ma anche, in certa misura, della medicina ufficiale» (p. 130).
Ciò conferma quanto già il celebre scienziato Rudolf Virchow (1821-1902) sosteneva tempo fa, ossia che «un’epidemia è un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici».