Sorprende che Allen Frances, a capo della task force che ha partorito il DSM-IV, assuma un atteggiamento critico nei confronti della sua creatura. Eppure, è proprio lo psichiatra americano a sostenere la tesi secondo cui, anche grazie al contributo del suo DSM – ricordiamolo, la “bibbia” degli psichiatri di tutto il mondo –, si assiste oggi a una preoccupante inflazione diagnostica che ha portato troppe persone a dipendere da antipsicotici, antidepressivi, ecc.: a diventare insomma degli ingoia-pillole.
Prendiamo l’autismo, per esempio. Dice Frances:
L’autismo è aumentato di venti volte in vent’anni a causa di un mutamento radicale nella pratica diagnostica e non perché i bambini sono diventati all’improvviso più autistici.
L’«epidemia» di autismo ha tre cause. In parte deriva sicuramente da un controllo più efficace da parte di medici, insegnanti, famiglie, pazienti stessi, che riescono a identificare meglio il disturbo. Puntare i riflettori su un problema riduce lo stigma e contribuisce a una migliore identificazione dei casi. In parte è stata scatenata dall’introduzione nel DSM-IV della Sindrome di Asperger, una nuova diagnosi che, in genere, ha ampliato la definizione di Autismo. L’«epidemia» di Autismo, però, per una buona metà è stata sicuramente alimentata dai servizi: una diagnosi sbagliata è il modo più sicuro per un bambino di ottenere maggiore attenzione nel sistema scolastico e una terapia psichiatrica più accurata.
Continua Frances:
Poche persone presentano i sintomi invalidanti dell’autismo classico e sono identificabili molto facilmente. Al contrario, l’Asperger descrive individui strani in modi diversi (con interessi stereotipati, comportamenti bizzarri e problemi interpersonali), ma ben lontani dalle limitazioni di chi soffre di Autismo classico (che comprende anche incapacità di comunicare e QI ridotto). Poiché molte persone normali sono eccentriche e socialmente goffe, non c’è nessuna linea di separazione chiara tra loro e l’Asperger. […] A questo si aggiunge una notevole riduzione dello stigma legato all’Autismo. Internet offre un mezzo di comunicazione pratico e agevole, sostegno sociale e spirito di squadra. Si è parlato dell’Autismo tanto e bene, se ne è occupata la televisione, e il disturbo è stato dipinto con simpatia in film e documentari. Molte persone di successo si sono riconosciute nella Sindrome di Asperger e alcuni l’hanno esibita come una medaglia al valore. Addirittura, l’Asperger si è guadagnato una specie di alone di fascino anticonformista, specie tra gli addetti ai lavori del comparto hi-tech. Tutta questa pubblicità ha avuto l’effetto positivo di ridurre lo shock di ricevere una diagnosi di Autismo.
Viviamo in un mondo dove essere autistico può non costituire più uno stigma penoso, ma una sorta di lasciapassare per ottenere più servizi e vantaggi, come insegna l’epidemia di bambini autistici, dislessici o con BES che dilaga nelle nostre scuole, dove a più certificazioni di disabilità corrispondono più forme di sostegno scolastico. Difficile pensare che questa opportunità non abbia contribuito alla moltiplicazione dei casi di autismo. Oppure pensiamo a personaggi come Greta Thunberg e Susanna Tamaro. Mentre della sindrome di Asperger della prima si sa tutto, sorprende che la scrittrice italiana abbia rivelato di recente di soffrire dello stesso disturbo, come chiave di comprensione della sua esistenza problematica. Un tempo, le persone si sarebbero tenute dentro le loro etichette, oggi le propagano dovunque e volentieri. Contribuendo ad attirare altre etichette e diagnosi.
Con questo non voglio dire che l’autismo non esista, ma che, come confessa Frances, alla sua diffusione hanno contribuito innumerevoli fattori che con l’autismo non hanno direttamente a che fare. Oppure, scale e test che generano, per partenogenesi, ciò che intendono misurare/valutare.
Sono senz’altro d’accordo con Frances: l’autismo è aumentato negli anni a causa di un mutamento radicale nella pratica diagnostica e non perché i bambini sono diventati all’improvviso più autistici.
Fonte: Frances, A., 2013, Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie, Boringheri, Torino, pp. 170-171.