Parole che ti cambiano

Il 14 maggio 2024 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il D. Lgs. 3 maggio 2024, n. 62 riguardante la definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato. Il decreto rappresenta il terzo intervento normativo di attuazione della legge delega in materia di disabilità 22 dicembre 2021, n. 227.

In questa sede, non mi interessa analizzare interamente il contenuto di questo importante decreto, ma semplicemente proporre alcune osservazioni sull’art. 4, intitolato “Terminologia in materia di disabilità” che recita:

A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto:

a) la parola: «handicap», ovunque ricorre, è sostituita dalle seguenti: «condizione di disabilità»;
b) le parole: «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «persona con disabilità»;
c) le parole: «con connotazione di gravità» e «in situazione di gravità», ove ricorrono e sono riferite alle persone indicate alla lettera b) sono sostituite dalle seguenti: «con necessità di sostegno elevato o molto elevato»;
d) le parole: «disabile grave», ove ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «persona con necessità di sostegno intensivo».

 

Il decreto introduce una terminologia relativamente nuova in ambito normativo. Dico “nuova” perché in realtà nella letteratura di settore era già invalsa da tempo. È solo nelle leggi e nei decreti che continuava a persistere, come un relitto, una terminologia stantia e stigmatizzante, che rischiava di fare danni linguistici di non poca considerazione.

Si pensi a “handicap”. Nonostante il termine sia vituperato da anni e ritenuto non più adeguato a rappresentare il mondo della disabilità, esso continuava a esistere, ad esempio, nella legge quadro n. 104/1992, ingenerando non poche perplessità. A esso è sostituito “condizione di disabilità”, così come a “handicappato” è sostituito “persona con disabilità” a sottolineare che si parla innanzitutto di persone. Con disabilità.

Il cambiamento è paradigmatico. La persona non è più identificata con la sua disabilità, ma valorizzata in quanto persona. Non è una condizione, ma un individuo con una condizione. Non è neppure un “diversabile”, termine ipocrita quanto pochi che vuole annullare nella irenica “diversità” la specificità della disabilità.

Viene cancellato anche il termine obbrobrioso di “disabile grave” sostituito da “persona con necessità di sostegno intensivo”. La gravità subisce una metamorfosi e da condizione addossata alla persona diviene una funzione dei sostegni di cui questa può usufruire. In altre parole, la disabilità è concepita come l’esito dell’interazione della persona con il suo ambiente e dei sostegni che quest’ultimo è in grado di garantire alla persona. La disabilità non è più una condizione individuale, ma eminentemente sociale in linea con il paradigma bio-psico-sociale tramite il quale essa viene interpretata.

Si tratta di passi avanti significativi e niente affatto cosmetici che, si auspica, genereranno un cambiamento significativo anche nelle pratiche quotidiane della disabilità. Perché le parole non hanno una forza esclusivamente espressiva, ma anche pragmatica troppe volte sottovalutata o, addirittura, ridicolizzata.

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