Nel mio blog, sono più volte tornato sul tema affascinante della pareidolia, cioè dell’illusione percettiva che porta a interpretare uno stimolo di per sé vago e confuso, sia esso visivo o sonoro, in maniera chiara e riconoscibile. Nel mio libro Bizzarre illusioni, ho fatto notare come la pareidolia sia alimentata dalla fantasia e dalla creatività. Ma anche da fattori mentali quali aspettative, conoscenze, credenze, speranze, timori. È la cultura religiosa cui apparteniamo che ci fa vedere in una macchia di sugo l’immagine di Gesù invece di quella di Maometto. Sono le nostre conoscenze linguistiche a permetterci di riconoscere in un suono vago un preciso messaggio espresso, guarda caso, nella nostra lingua o in una lingua che conosciamo. Sono i nostri timori a farci vedere una figura mostruosa tra i rami di un bosco a mezzanotte.
Un caso tipico di pareidolia religiosa è quello descritto da Armando De Vincentiis nel suo libro Psicopatologia del paranormale, nel capitolo intitolato “Paranormal activity”. Qui sono descritte le dinamiche sorte all’interno di una famiglia meridionale imbevuta di credenze sia religiose sia sovrannaturali, composta da padre, madre (Carlo e Angela) e tre figli (Simone, Luigi e Rosaria). Un giorno, uno dei figli, Simone, organizza per gioco una seduta spiritica dalla quale non rimane particolarmente colpito. Venutolo a sapere, i genitori lo rimproverano aspramente inducendo in lui un forte senso di colpa associato all’idea di aver davvero invocato il demonio. In seguito all’episodio, all’interno della famiglia viene a crearsi un clima di profonda angoscia, rafforzato dalle opinioni condivise dai cinque, dall’intervento di un sacerdote, che conferma la pericolosità della seduta, pur organizzata per gioco, e dalla credenza di aver scatenato una qualche presenza nefasta. Ad accrescere le ansie dei protagonisti, un banale episodio di pavor nocturnus che colpisce il secondogenito, Luigi, e la convinzione che dietro ogni scricchiolio della porta o avvenimento inconsueto potesse nascondersi l’intervento del Maligno. In questo clima, carico di credenze e aspettative, si verifica un episodio di pareidolia, che De Vincentiis così descrive:
A questo punto un ultimo tassello, un’apparizione misteriosa sulle pareti della cucina, fece giungere la situazione al culmine. I giorni si trascinavano, ormai carichi di tensione all’insegna delle interpretazioni sovrannaturali, quando una sera, mentre con la famiglia mangiava in cucina, il piccolo Luigi, alzando gli occhi verso la parete, esclamò: “Il diavolo!!”. Con sconcerto tutti sollevarono lo sguardo ed osservarono sulla parete una figura dalle sembianze demoniache, una forma di volto con corna e pizzetto. Rosaria cominciò a piangere, Angela la prese e la portò via per consolarla, Simone ed il padre rimasero lì a guardare senza dirsi una parola e continuarono a mangiare, quasi non volessero affrontare l’argomento. “Continuammo a mangiare facendo finta di nulla, come se volessimo comunicare l’idea di non essere spaventati, quasi fosse un messaggio alla figura, non ti temiamo, mentre, in realtà, ne eravamo terrorizzati”: queste furono le parole di Carlo durante il racconto. Descrivendo l’immagine, i due coniugi ne evidenziarono una certa ambiguità della forma, tuttavia fu chiaro che la loro prima interpretazione era stata quella demoniaca: “Bisognava rifletterci un po’ prima, ma poi si inquadravano perfettamente le corna con il pizzetto”, ribadì Angela.
Fatto ancora più interessante, come evidenzia lo stesso De Vincentiis,
Nessuna ipotesi alternativa (condensa, umido) attraversò la loro mente, solo la convinzione di un’apparizione sovrannaturale. Molte macchie di condensa erano presenti sulle pareti della cucina, quindi la probabilità che potesse trattarsi di una semplice impronta casuale era davvero elevata, ma il clima di paura che si era instaurato dal giorno della seduta spiritica, le parole del prete, gli eventi insoliti (sintomi della piccola compresi) avevano creato le basi per far sì che quella semplice macchia di umido dai contorni ambigui venisse interpretata come un’immagine demoniaca. La paura li spinse a cercare conferme, perciò Angela chiamò la sorella e il cognato per mostrare loro quell’immagine; commise, però, l’errore di anticipare il presunto significato della forma sia ai parenti che ad altre persone invitate ad osservare il fenomeno. “Non vi sembra il volto del diavolo?”, era l’invito esplicito: una sorta di suggestione iniziale, in seguito alla quale gli osservatori non potevano fare altro che esprimere la stessa interpretazione.
Dopo il verificarsi di questa esperienza, la famiglia decide di ricorrere a un esorcista che, con il suo intervento, sanzionò definitivamente e al di là di ogni dubbio, il carattere sovrannaturale delle vicende avvenute all’interno della famiglia. In sintesi, per usare ancora le parole di De Vincentiis,
Una credenza radicata nei fenomeni paranormali, un gioco ritenuto pericoloso, le parole suggestive del sacerdote, un’illusione della percezione, un’attribuzione di relazione causa-effetto priva di prove oggettive sono stati, insomma, in questa famiglia i tasselli per la costruzione di un’esperienza interpretata come paranormale.
Ma, per chi ha interesse nella pareidolia, questa storia conferma come le esperienze pareidoliche, per esistere, hanno bisogno di fondarsi su sistemi di credenze e aspettative, culturalmente e socialmente determinati, che orientano la percezione e ne condizionano l’esito. È questa, in definitiva, la differenza tra chi vede in una macchia nient’altro che l’effetto dell’umidità e chi vi vede una figura demoniaca. A volte, la pareidolia può essere la cartina di tornasole delle nostre credenze e rivelarci molte più cose su di noi di quanto saremmo naturalmente inclini a credere.