Tra i fenomeni più sconcertanti in cui è possibile imbattersi frequentando i cosiddetti Social c’è quello che definirei “ostentazione di sentimenti privati”. È il caso dell’uomo che scrive un post su Facebook per dichiarare o ribadire il proprio amore alla moglie con la quale sente di aver realizzato il sogno della propria vita o della donna che, su Twitter, cinguetta il proprio affetto alla madre, appena scomparsa, che ha fatto di lei la figlia più felice e grata del mondo.
In questi casi, e in tanti altri simili, ciò che sconcerta è il fatto che dichiarazioni o confessioni, una volta confinate alla sfera dei sentimenti privati, sono oggi esibite in pubblica piazza (virtuale) così che centinaia di persone possano leggerle.
Quali sono i motivi di tali ostentazioni? Il primo potrebbe essere il desiderio di mostrare al mondo quanto si è felici e fortunati, forse per suscitare invidia nel prossimo virtuale. Il secondo potrebbe essere il bisogno di trovare conferma dei propri sentimenti negli “amici” o “followers”, che immancabilmente commenteranno la loro approvazione condendola con emoji ed emoticon di ogni tipo (in questi casi ci si astiene, di solito, dall’esternare commenti malevoli). Il terzo potrebbe essere una sorta di egocentrismo sfrenato che annulla ogni confine tra privato e pubblico, illudendo che agli altri interessi conoscere la propria situazione sentimentale. Il quarto potrebbe essere una sorta di incompetenza digitale che induce a pubblicare dichiarazioni di stati d’animo che dovrebbero rimanere privati.
Qualsiasi sia il motivo, resta il disorientamento – e talvolta l’irritazione – che provocano simili dichiarazioni. Quando ci appaiono mentre scorriamo le pagine di un Social rimaniamo imbarazzati, confusi, turbati e ci domandiamo perché. Siamo tentati di contattare l’amico/amica e chiedere spiegazioni della sua decisione, rivolgergli una domanda, tentare di capire. Ci viene il dubbio che non abbia il coraggio di rivelare i suoi stati d’animo in privato, ma che abbia bisogno di un pubblico che gli/le garantisca sostegno.
Forse è solo uno dei tanti esempi di trasformazione antropologica che i Social producono in noi. Non ce ne accorgiamo, ma siamo spinti a mettere in vetrina ogni aspetto recondito del nostro essere, senza pensare che tale vetrinizzazione finisce con il violare quanto di più intimo e segreto è in noi.
Forse, un giorno, l’intimità non esisterà più. O forse esisterà solo nella sua forma esibita.