Sono in strada e cammino. Davanti a me ci sono circa dieci persone. Ognuna di esse ha un ombrello. Il cielo minaccia pioggia. Anch’io ho un ombrello. D’improvviso, un violento scroscio d’acqua. Tutti apriamo l’ombrello per ripararci dal rovescio. Dopo pochi minuti è tutto finito. Chiudo l’ombrello e, come me, anche quattro delle dieci persone che mi precedono in strada. Gli altri sei continuano a tenere aperti i propri ombrelli. Dopo qualche secondo, un paio di essi decidono che non è più necessario servirsene. Altra manciata di secondi, e sono seguiti da altri due. Nel giro di pochi minuti, tutti quelli che mi precedono in strada hanno chiuso i loro ombrelli. Ora, il nostro comportamento è perfettamente uniforme.
La scena che ho appena descritto è probabilmente familiare a molti. Occorrono sempre una manciata di secondi dalla fine della pioggia prima che tutti quelli che hanno l’ombrello aperto decidano di chiuderlo. Da un punto di vista razionale, questo lasso di tempo trascorso dalla fine della pioggia è incomprensibile: se non si ha più bisogno dell’ombrello perché continuare a tenerlo aperto?
Sebbene sia possibile proporre diverse teorie al riguardo, la più convincente, a mio avviso, rimanda alla cosiddetta “legge psicologica dell’inerzia”, secondo la quale gli esseri umani tendono a perseverare in determinati comportamenti, per quanto poco funzionali, per ragioni di economia mentale. In altre parole, gli esseri umani oppongono resistenza alla cessazione di determinati comportamenti perché il nostro cervello tende ad evitare, per quanto è possibile, l’elaborazione di nuove condotte, pur a fronte di nuove informazioni ricevute.
I tempi di mantenimento dell’inerzia variano in base a diversi fattori. Ad esempio, quando la mole di nuove informazioni è troppo pressante o quando le informazioni possedute non reggono al confronto con la realtà, è difficile perseverare nel comportamento precedente. Così, per tornare al caso della pioggia, quando questa viene meno, è possibile continuare a tenere aperto l’ombrello per qualche secondo o, in casi estremi suscettibili di riprovazione sociale (derisione ecc.), per qualche minuto, ma presto il fatto che tutti coloro che sono intorno a noi hanno chiuso l’ombrello ci “costringerà” ad abbandonare la condotta non funzionale. In tale circostanza, la conservazione del comportamento precedente ci appare insostenibile e viriamo verso la nuova condotta.
La legge psicologica dell’inerzia spiega perché gli esseri umani rimangono spesso attaccati a condotte (e idee) che pure sembrerebbe più logico modificare. Ma può essere adoperata in senso predittivo? Ad esempio, quanto tempo dalla fine dell’attuale pandemia (e delle relative norme emergenziali che ne disciplinano la gestione), occorrerà prima che tutti smettano di indossare la mascherina? È probabile che, anche in questo caso, molte persone continueranno ad adoperarla per giorni e mesi (in qualche circostanza forse anni), anche in assenza di una loro effettiva utilità funzionale. Ed è probabile che si serviranno di tutta una serie di razionalizzazioni ad hoc per farlo: “Non si sa mai”; “La mascherina mi protegge dallo smog cittadino/dalle polveri sottili/dagli allergeni”; “In inverno, mi ripara dal freddo” e così via.
Anche nella vita quotidiana, ci serviamo di argomenti apparentemente razionali per giustificare i nostri comportamenti abitudinari. Non dovremo sorprenderci, dunque, se ciò accadrà anche nel caso delle mascherine. Gli esseri umani tendono più all’inerzia e alla conservazione che all’innovazione e al cambiamento. Prepariamoci, dunque, a un più o meno lungo periodo interlocutorio in cui non sapremo se tenere o smettere la mascherina. Le abitudini – come dice il proverbio – sono dure a morire.