Nella nostra società turbocapitalistica, l’automobile è ormai una estensione del sé per cui qualsiasi cosa venga fatta a essa è come se fosse fatta alla propria persona. Un graffio alla vettura viene percepito come una cicatrice sul volto; una parte mancante o derubata come un arto amputato.
Ecco perché il furto d’auto o di parti dell’auto non viene mai percepito solamente come una sottrazione di un oggetto indeterminato, ma quasi come un delitto contro la persona, un affronto all’onore (termine peraltro in disuso), un vulnus in grado di scatenare una sorta di sindrome post-traumatica da stress.
Tradizionalmente, erano temuti i furti di autoradio o di pneumatici, di cui, nei decenni precedenti, si è fatto strame. Oggigiorno, le componenti preziose dell’auto sono mutate e sembrano concentrarsi in una parte prima trascurata: la marmitta catalitica o catalizzatore. Da qualche tempo, infatti, le cronache non solo nazionali, ma internazionali (ad esempio da Londra o dagli Stati Uniti), ci raccontano di strani furti in cui a essere asportata è appunto la marmitta catalitica, un dispositivo che ha il compito di trasformare chimicamente le sostanze nocive alla salute e all’ambiente presenti nei gas di scarico in elementi o composti innocui o comunque con un impatto negativo minore. Serve, inoltre, a ridurre la rumorosità dell’auto.
Il catalizzatore è stato introdotto in tempi relativamente recenti e si trova nelle auto come le Euro 4, le Euro 5 e le Euro 6, concepite per osservare gli standard ambientali e antiinquinamento imposti ormai in tutto il mondo.
Perché tali furti sono “strani”? Perché i catalizzatori vengono razziati non per le loro funzioni intrinseche, non per essere rivenduti e installati su altre auto – come succedeva all’autoradio e agli penumatici – ma perché contengono metalli nobili come il palladio, il rodio e il platino, particolarmente appetiti dal mercato. Tra le tante vetture in circolazione sembra che il target prediletto dai ladri sia costituito dai Suv (perché la loro altezza da terra facilita il furto), dalle Smart (perché la marmitta catalitica è facilmente estraibile dopo aver smontato il paraurti posteriore) e dalle Panda (come è capitato a me).
Si tratta, dunque, di un furto eminentemente contemporaneo in quanto presuppone auto prodotte negli ultimi anni (anche se con qualche anno alle spalle: l’età, infatti, sembra aumentare il valore dei metalli preziosi) per rispondere a standard contemporanei di ecocompatibilità. Il problema è che sostituire un catalizzatore può costare davvero tanto (mille euro e oltre), anche perché i ladri, nella fretta dell’esecuzione del gesto illecito, strappano il catalizzatore con particolare brutalità, causando danni anche ad altre parti dell’auto (potremmo definirli ipocritamente “danni collaterali”). In alcuni casi, la vettura viene addirittura sollevata su un lato prima di procedere alla rimozione dell’oggetto con gravi conseguenze alla carrozzeria.
Sembra, infine, che rubare marmitte catalitiche non sia semplice come si crede. Alcuni ladri sono morti durante l’esecuzione del delitto perché, dopo aver sollevato la vettura con un cric ed essersi infilati sotto la stessa, questa è ricaduta improvvisamente su di loro, uccidendoli. Una sorta di nemesi automobilistica che farebbe ridere se non fosse una cosa tragica.
Il furto del catalizzatore è ormai diffuso a macchia d’olio. E dovremmo sentirci tutti a rischio per questo. Se, però, psicologicamente, la sottrazione della marmitta catalitica arreca un danno al nostro io amputandolo di una sua parte, al tempo stesso lo rafforza e lo impreziosisce: quanti di noi, in effetti, sanno di portare in giro palladio, rodio e platino quando guidano, come i re Magi conducevano oro, incenso e mirra quando si recarono a trovare un bambino misterioso?
Dopotutto, sembrano dirci i ladri, noi valiamo molto di più di quanto crediamo. Ed è per questo, forse, che ci derubano.