“Non si è mai visto niente del genere!”

Potremmo parlare quasi di una legge di natura. Più si va avanti negli anni, più la probabilità di pronunciare una frase come questa – o una delle sue varianti – cresce fino ad aumentare in maniera esponenziale in vecchiaia.

Apparentemente, ci troviamo di fronte a una espressione innocua, banale, ordinaria. Una espressione che serve a esprimere sgomento, incredulità, sorpresa di fronte a un accadimento. Ma anche sconcerto, perplessità, timore, confusione, imbarazzo. Ciò che vuole dire è semplicemente che vediamo per la prima volta ciò che stiamo vedendo in quel momento. Nulla di più, apparentemente.

La pronunciamo quando siamo testimoni di atti di maleducazione “inaudita”, quando assistiamo in televisione al racconto di un crimine efferato o di una catastrofe naturale, quando siamo di fronte a una invenzione rivoluzionaria dagli effetti dirompenti sulla nostra esistenza, quando il marito della nostra migliore amica decide di abbandonarla dopo quaranta anni di matrimonio, quando un personaggio di spicco non si conforma alle norme sociali del momento.

Eppure, una frase come questa nasconde più di quanto dica. Il “si” impersonale ammicca a un “noi” generalizzato e molto personale. Lo sgomento, la sorpresa lo sconcerto, la confusione di chi parla sono lo sgomento, la sorpresa lo sconcerto, la confusione dell’umanità intera. Opportunamente riformulata, “Non si è mai visto niente del genere!” ambisce a significare “Nessuno – né io, né tu, né nessun altro – ha mai visto una cosa del genere in vita sua”. In questo modo, chi parla elegge sé stesso a misura del mondo e il suo ego, che pure gioca a nascondino con il “si” impersonale, sconfina, fagocitandoli, in quelli di tutti gli altri. Così facendo, giudica il mondo sulla base delle sue esperienze, relazioni, accadimenti. Ciò che il parlante non vede, nessuno ha mai visto; ciò che il parlante non sente, nessuno ha mai sentito. La maleducazione che offende i suoi valori offende i valori di tutti. Ciò che sorprende la sua sensibilità stupisce la sensibilità di tutti. La sua esperienza si tramuta nell’esperienza di tutti. Ne è prova il fatto che, quando si pronuncia questa frase in compagnia, ci si aspetta comprensione e solidarietà dagli altri, i quali sono tacitamente invitati ad annuire la propria condivisione con un cenno del capo o con una frase complementare di circostanza (“È proprio così!”).

Basterebbe riflettere un po’ per ricordare che delitti efferati come quello che commentiamo sono già avvenuti in passato, che invenzioni rivoluzionarie si succedono a ritmi vorticosi, che, un tempo, si verificavano atti di maleducazione perfino peggiori, che di divorzi come quelli della nostra migliore amica è pieno il mondo e che sono tanti i politici, gli uomini d’affari, gli attori e le star della televisione che suscitano scandalo.

Niente di nuovo sul fronte Occidentale, insomma. E, allora, “Non si è mai visto niente del genere” potrebbe essere semplicemente una iperbole. Le persone amano le iperboli, adorano esagerare perché esagerare permette di catturare l’attenzione e di apparire più interessanti agli occhi degli altri. Inoltre, suscita coinvolgimento, curiosità, eccitazione, enfasi, condivisione.

Ma la verità è che dietro questa frase apparentemente innocua e iperbolica si nasconde qualcosa che la psicologia ci insegna da tempo e, cioè, che gli esseri umani sono fondamentalmente egocentrici. Attenzione: egocentrici non egoisti!

Sebbene sia usato nella vita quotidiana quasi come un sinonimo di “egoismo”, il concetto di “egocentrismo” non è di tipo morale, come “egoismo”, e fa riferimento alla tendenza psicologica, spesso inconsapevole, degli esseri umani a adoperare i propri valori, giudizi, gusti, opinioni, pensieri come parametri di conoscenza e valutazione degli altri e del mondo. Ad esempio, se commettono un’azione vergognosa, gli individui ritengono di poter essere immediatamente scoperti quasi fossero trasparenti; se credono in un’idea, pensano che molte più persone credano nella stessa idea; se parlano una determinata lingua, tendono a ritenere l’apprendimento di quella lingua più facile di quanto non sia; se hanno un certo stile di vita, pensano che ci siano molte persone che lo adottano; se fanno esperienza di essere traditi dal proprio partner sentimentale, credono che il tradimento sia universalmente diffuso e, se rimangono sbigottiti da qualcosa che hanno visto, credono che tutti debbano avere la medesima reazione.

Insomma, l’egocentrismo è soprattutto un’innata tendenza a fare di sé il modello di valutazione del mondo.

Ne era consapevole molti anni fa, lo psicologo ginevrino Jean Piaget (1896-1980), il quale riteneva che nella fase evolutiva che va dai tre ai sei anni, il pensiero dei bambini sia fondamentalmente egocentrico e, dunque, incapace di differenziare il proprio punto di vista da quello degli altri. In questa fase, “io” è il pronome preferito e il gioco è «un’assimilazione deformante del reale all’io» (Piaget, 1967, p. 31). Così, i bambini di quella fascia d’età tendono a pensare che il sole sorge per svegliarci, che la luna è lì per darci la luce di notte e che lo spigolo del tavolo è cattivo perché li ha colpiti intenzionalmente. È tutto un trionfo dell’ego, un mondo che gira intorno al proprio sé.

Quello che Piaget aveva trascurato – forse inconsapevolmente – è che una buona dose di egocentrismo permane anche negli adulti, generando tutta una serie di distorsioni cognitive. Una di queste è la tendenza fortissima a generalizzare a partire dalle proprie esperienze, valori, credenze e situazioni come se fossero le esperienze, i valori, le credenze e le situazioni di tutti. Come se tutto il mondo fosse paese. 

E, in effetti, chi confessa esterrefatto di “non aver visto mai una cosa del genere in vita sua” nasconde – forse anche a sé stesso – il fatto che il suo punto di vista è necessariamente limitato e parziale, rispecchiando una determinata “provincia di significato”, ovvero un mondo circoscritto di conoscenze, esperienze e modi di essere. Le cose peggiorano quando si è trascorsa la propria esistenza in un ambiente culturalmente e socialmente ristretto: un paesino, un posto in montagna, un borgo, senza contatti o quasi con il mondo esterno. È quello che abitualmente viene definito “provincialismo”. La pretesa, in questo caso, è che la propria prospettiva ristretta sia rappresentativa di quella di ogni altro abitante del mondo. Il particolare si spaccia per universale e, più è particolare, più esige di essere universale. Scherzi dell’egocentrismo irriflesso, che rende incapaci di considerare punti di vista diversi dal proprio, ma che crede di rappresentarli tutti.

Ma l’egocentrismo non è l’unica chiave di spiegazione del fenomeno del “Non si è mai visto niente del genere”. Talvolta, chi pronuncia questa frase semplicemente dimentica di aver assistito a ben peggio nella vita, magari molto indietro nel tempo. Si sa che la mente umana preferisce mettere da parte i ricordi negativi, sgradevoli o traumatici, lasciandoli nell’inconscio in modo che non provochino più dolore (Brandimonte, 2004). Per questo motivo, quando siamo testimoni dell’ennesima tragedia, dell’ennesimo omicidio efferato, dell’ennesimo atto di maleducazione, è come se ricominciassimo daccapo per poi, ovviamente, dimenticare anche l’ultimo episodio che tanto ci ha sconvolti. Si tratta di un dispositivo di preservazione che la mente innesca per tutelarci da emozioni associate a ricordi negativi.  “Non si è mai visto nulla”, dunque, come meccanismo di difesa dalle brutture della vita.

È sorprendente constatare come, dietro una frase così apparentemente banale e ordinaria, si nasconda una mente umana incline a fare di sé il centro del mondo e a dimenticare ciò che non le aggrada. Tale propensione ha lo scopo adattivo di favorire la sopravvivenza del sé in un ambiente altamente competitivo in cui ego diversi entrano in conflitto per affermare la propria visione del mondo. Che ne siamo consapevoli o no, asseriamo di “non aver mai visto nulla del genere in vita nostra” per imporre agli altri i nostri valori, i nostri giudizi, i nostri punti di riferimento, le nostre esperienze, e per evitare che gli altri impongano a noi i loro valori, giudizi, punti di riferimento, esperienze. Potrà sembrare troppo “darwiniano”, ma è questo il motivo per cui cerchiamo il consenso degli altri al nostro egocentrismo. Per sopravvivere in una giungla di visioni del mondo diverse.

Riferimenti:

Brandimonte, M. A., 2004, Psicologia della memoria, Carocci Editore, Roma.

Piaget, J., 1967, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Einaudi, Torino

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