Nemesi (2010) è l’ultimo libro del grande scrittore americano Philip Roth (1933-2018), forse uno dei meno conosciuti. Avendo ad argomento la terribile epidemia di poliomielite che sconvolse gli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, ha goduto nell’ultimo anno di un ritorno di fiamma al pari di La peste di Camus, I promessi sposi di Manzoni e Cecità di Saramago.
Il romanzo è ambientato nella città natale dello scrittore, Newark nel New Jersey, e ha come protagonista l’animatore Bucky Cantor il quale, scartato alla leva a causa di una forte miopia, si ritrova a gestire campi giochi per bambini nella torrida e letale estate del 1944. All’epoca non si conosceva esattamente l’origine della poliomielite, né si era certi sulle vie di diffusione. Assenti anche le terapie: il vaccino fu creato solo nel 1950. Si pensi che, nel 1952, gli Stati Uniti furono colpiti da un’epidemia di polio che fece registrare circa 58.000 casi in un anno, 3145 morti e 21.269 paralisi lievi. Oggi, la poliomielite sembra quasi sradicata, ma ricordiamo che l’Europa è stata dichiarata libera da questa terribile infezione virale solo nel 2002.
La situazione descritta da Roth rievoca inevitabilmente la vicenda da noi vissuta in questo 2020: un virus pericoloso e letale si abbatte su una comunità, gettandola nel panico e favorendo comportamenti non sempre razionali, spesso tesi alla ricerca del capro espiatorio. In una condizione di incertezza quale quella narrata in Nemesi, non sorprende il fatto che gli abitanti di Newark comincino a elaborare ipotesi sulle origini del male. Lo abbiamo fatto anche noi. Si pensi alle varie teorie sviluppate nel corso di questi mesi. Il Covid-19 è nato spontaneamente o in laboratorio? Si trasmette per contagio da altre persone o anche toccando superfici e materiali? Sono stati i cinesi i primi diffusori o esisteva già da prima? È vero che il brodo di pollo aiuta a combattere il virus?
Lo stesso avviene a Newark, dove si assiste alla propagazione di un vero e proprio pensiero magico-superstizioso.
Le superstizioni nascono spesso dall’osservazione di coincidenze che si verificano tra fenomeni fra loro indipendenti. Ad esempio, se osserviamo un gatto nero che attraversa la strada e siamo coinvolti in un incidente, deduciamo che l’incidente è stato causato dal gatto nero. Tra i due eventi non sussiste alcun rapporto, ma se siamo convinti che i gatti neri portino sfortuna e siamo continuamente in allerta quando ne vediamo uno, potrà capitare, prima o poi, che un incidente si verifichi. Altro esempio. Tutti sappiamo che al tifoso accanito pare di riscontrare una connessione tra un determinato rituale e l’andamento della propria squadra. Come se grattarsi il braccio sei volte prima dell’inizio della gara, ad esempio, potesse garantire di per sé un esito fausto. Il tifoso inevitabilmente osserverà che, in alcuni casi, al rituale segue una vittoria della propria squadra e ciò sarà per lui prova sufficiente dell’efficacia magica dello stesso. A nulla varranno i casi di cattivo abbinamento tra i due eventi. La superstizione prenderà piede nella mente del tifoso.
Le superstizioni nascono, dunque, da un errore di apprendimento, ossia dal confondere un rapporto di correlazione – due eventi variano insieme – con un rapporto di causazione – un evento è causa dell’altro.
A Newark, l’apparizione della polio nel quartiere ebraico della città è preceduta dall’arrivo di alcuni ragazzi “italiani” che sputano sul marciapiede per infettare i residenti locali («Venne fuori che c’erano sputi su tutta l’ampia area di marciapiede su cui si erano disposti i ragazzi italiani, due metri quadri di una poltiglia viscida e disgustosa che appariva senza ombra di dubbio un terreno di cultura ideale per la malattia» (p. 356). I primi “untori” del romanzo sono dunque considerati loro. Più avanti, la fonte di ogni male viene individuata nel latte: «Dovrebbero controllare il latte che bevono quei ragazzini… la polio viene dalle vacche sporche e dal loro latte infetto» (p. 367). Poi ancora negli “hot dog da Syd” («Ha mangiato un hot dog da noi, poi è andato a casa, gli è venuta la polio ed è morto» (p. 380), nel denaro («Un uomo disse che secondo lui la malattia si attaccava attraverso il denaro, attraverso le banconote che passavano di mano in mano» (p. 393), nella posta («E la posta, disse qualcun altro, non potrebbe attaccarsi attraverso la posta?» (p. 393), nelle donne di pulizia di colore (p. 393), negli insetti «che diffondevano le malattie riproducendosi in mezzo alla sporcizia per poi insinuarsi nelle case attraverso le porte aperte e le finestre senza zanzariere» (p. 399), in Horace, lo “scemo del villaggio”, accusato di essere sporco («Ha le mutande piene di merda! Ha le mani piene di merda! Non si lava, è sporco, e poi vuole che gli prendiamo la mano, che gliela stringiamo, e così ci attacca la polio!» (p. 415), nel caldo impietoso (p. 419).
In tutti i casi, due eventi tra loro indipendenti vengono isolati, osservati e interpretati secondo una relazione causale che regge, come avviene ancora nel 2020, a dispetto di ogni mancanza di prove.
È così che nascono le superstizioni. Lo diceva anche Baruch Spinoza, nell’incipit del suo Trattato teologico-politico:
Se gli uomini fossero in grado di governare secondo un preciso disegno tutte le circostanze della loro vita, o se la fortuna fosse loro sempre favorevole, essi non sarebbero schiavi della superstizione. Ma spesso si trovano di fronte a difficoltà che non sanno in alcun modo risolvere e perlopiù sono miseramente agitati dalla tempesta delle speranze e dei timori, per la precarietà dei beni della sorte che essi smodatamente desiderano. Così sono quanto mai disposti, nella generalità dei casi, alla credulità; nel dubbio e, molto più spesso, nel contrasto del timore e della speranza essi non sanno decidersi e un minimo impulso li spinge all’una o, all’altra soluzione, mentre sono pieni di baldanza e di superbia quando nutrono fiducia nel futuro.
A Newark nel 1944, come da noi nel 2020, la “tempesta delle speranze e dei timori” favorisce il proliferare di superstizioni, false teorie e fake news che, spesso, come accade alle superstizioni, persistono a dispetto di ogni smentita. Nei momenti di emergenza e incertezza, non siamo molto diversi dai nostri progenitori che si inchinavano dinanzi al tuono e recitavano formule di fronte alla malattia.