Nelle pagine iniziali di Il senso delle parole rotte di Massimiliano Giri, Premio Tedeschi 2020, il commissario di polizia Matthias Macrelli si ritrova ammanettato al suo letto, prigioniero di uno strano personaggio che indossa una maschera di maiale e parla attraverso un laringofono. Lo sconosciuto dialoga qualche minuto con Macrelli, avanzando una richiesta inaspettata, che qui non rivelerò, e poi scompare. A questo punto, alle cinque di mattina, Macrelli
Saltò giù da letto, esausto, e notò che per terra c’era una piccola bottiglia spray. Pensò subito a un nebulizzatore narcotizzante che l’intruso doveva aver usato per immobilizzarlo con tutta calma. Ma come aveva fatto a entrare senza farsi sentire? Perlustrò l’appartamento e notò l’infisso della cucina forzato.
“Di sicuro si è introdotto in casa prima del mio arrivo” rimuginò. “Poi ha aspettato che mi addormentassi per uscire allo scoperto e narcotizzarmi” (p. 29).
È davvero possibile narcotizzare un individuo con una bottiglia spray? Spruzzare sul suo volto poche gocce di una sostanza in grado di metterlo KO per il tempo sufficiente a commettere una rapina o una qualsiasi azione illegale? E come mai, secondo i racconti come quello di Giri, chi subisce questo trattamento si risveglia senza alcuna conseguenza, quando sappiamo che una anestesia praticata in ospedale è una operazione complessa che richiede molta competenza? E se si trattasse di poco più di una leggenda urbana?
Ne parlo nel mio libro Delitti. Raptus, follia e misteri. Dalla cronaca alla realtà (2016), lettura che consiglio per l’estate e che demistifica tanti altri luoghi comuni sul crimine e i criminali.