Il denaro non è una realtà materiale: è un costrutto psicologico. Funziona trasformando la materia in concetto mentale. Ma perché succede una cosa del genere? […] Perché accettiamo di rivoltare gli hamburger sulla piastra, vendere assicurazioni sanitarie o fare da babysitter a tre marmocchi pestiferi […], quando tutto quello che otteniamo in cambio dei nostri sforzi è qualche pezzo di carta colorata? Si è disposti a fare queste cose se abbiamo fiducia nelle invenzioni della nostra immaginazione collettiva (Harari, Y., 2022, Sapiens. Da animali a dei, Bompiani, Milano, p. 37).
Altro che facoltà evasiva e inconcludente! L’immaginazione, come ci ricorda Yuval Harari, crea mondi e conferisce senso a quello in cui viviamo. Struttura le nostre esistenze, fornendo loro “miti” in cui credere, che motivano il nostro agire. È alla base dei valori, delle norme, delle regole che ci guidano fin nelle azioni più banali che compiamo.
La precondizione perché ciò accada, tuttavia, è che l’immaginazione sia condivisa, diventi fatto collettivo, esercizio di gruppo. Se questo non accade, diventa delirio di un pazzo, illusione di un mentecatto, utopia destinata al fallimento.
Sono i miti comuni a fondare le religioni; miti comuni a creare le nazioni; miti comuni a istituire i sistemi giudiziari. Se, invece, il mito religioso è appannaggio di un unico individuo, si parlerà di delirio e il rischio della casa di internamento diventerà reale. Ugualmente, chi volesse fondare una nazione in assenza di condivisione collettiva della sua idea sarebbe presto condannato all’emarginazione. Chi volesse imporre una idea di giustizia ritenuta ridicola dagli altri attirerebbe su di sé derisione e ostracismo.
Come dice ancora Harari: «Nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell’immaginazione comune degli esseri umani» (Harari, 2022, p. 41).
I miti collettivi presuppongono credenze, ma anche fiducia: la fiducia che i nostri simili credano a quello in cui crediamo noi. Da questo punto di vista, per quanto spesso ci lamentiamo della diffidenza che regnerebbe sovrana nella nostra epoca, si può dire che, da un punto di vista sociologico, la nostra è la società che più di ogni altra si basa su reti di fiducia salde e ben strutturate.
E non è affatto vero che viviamo in una società disincantata e secolarizzata. Miti e incanti sono ancora tra noi, solo che, essendo condivisi e interiorizzati fin nei precordi delle nostre interiorità, li chiamiamo “senso comune”, illudendoci di aver destituito di ogni fondamento mitologico le nostre esistenze.